Trovate qualcosa di più assoluto del mare? Distesa di un blu che porta il suo nome, ribelle custode di segreti, unisce e divide terre e popoli, come una gazza nasconde tesori e, per la sua natura generosa, a volte decide di lasciarli riemergere. Tutto parte dal mare, anche questa mia giornata in cui ho sete di meraviglie antiche. Il traghetto si culla sulle stesse onde che per secoli hanno serbato il relitto di Porticello ed i suoi tesori. Così, anche lo Stretto di Messina ha i suoi bronzi: sono delle teste maschili, una detta del Filosofo, un esempio finissimo di ritrattistica, e quella di Basilea fresca fresca di restauro, che fanno compagnia agli esemplari di Riace, in una speciale sala climatizzata del Museo Archeologico di Reggio Calabria. Incredibili quanto i loro cugini più “alti”, se non di più, nella raffinatezza della lavorazione delle ciocche di barba e capelli, nella caratterizzazione psicologica delle espressioni rese con chiaroscuri creati dalle rughe della saggezza in uno, e nella geometria esatta del taglio del naso nell’altro.

Il MArRC è tra i musei archeologici della Magna Grecia più ricchi, è stato riconosciuto tra gli istituti museali archeologici più prestigiosi d’Italia con l’istituzione delle autonomie operata dalla Riforma del MiBACT del 2014. . Qui la collezione è composta da reperti, di pregevolissima fattura e decisamente significanti al livello storico; un completo catalogo di resti di vita terrena, ultraterrena e sacra lasciati delle popolazioni approdate sulle coste italiane.

I pannelli accanto agli ascensori indicano con una A l’inizio del percorso museale: al 4 piano il paleolitico, e scendendo man mano i livelli dell’edificio si arriverà alla sezione D, chiusa da resti romani del III secolo. I reperti riguardano gran parte degli scavi effettuati in Calabria, dai quali è affiorata la storia dei coloni ellenici stanziatisi a Locri, Crotone, Rosarno e Vibo Valentia (dal VIII al IV secolo a. C.), e anche delle genti indigene della preistoria, come nel caso del sito di Zambrone. Il museo è ospitato da un edificio che fu tra i primi ad essere progettato appositamente per essere una sede espositiva, dal architetto Marcello Piacentini, che ne studiò l’articolazione degli ambienti dopo aver visitato i grandi musei d’Europa. Nel 1932, durante la costruzione venne alla luce una delle necropoli della Rhegion di età ellenistica, le cui sepolture a cassa con volta a botte o a libro con tegole, sono oggi fruibili al piano interrato E. Nel novembre 2009, il Museo è stato chiuso per restauro e definitivamente riaperto al pubblico il 30 aprile 2016.
In vetta al palazzo, numerosissimi i monili e i paramenti dell’età del ferro, esposti insieme ai resti dei loro proprietari o con grafiche che ne simulino le fattezze, ed ogni bracciale e armatura così giustapposti, si collocano in maniera intuitiva in una quotidianità di migliaia di anni fa: visti indosso ad una nobile o un guerriero, ogni fibula la si immagina appoggiata ad un panneggio, ogni arma prende forma con il solo ausilio dell’aggiunta di un nuovo supporto, un tempo necessario alla sua efficacia ed ora perduto perché di inesorabilmente deperibile. In ogni piccolo dettaglio si vede l’intenzione di voler istruire in maniera agile il visitatore, riconoscendo la difficoltà della lettura di alcuni pezzi da parte dei meno esperti.

Il fil rouge di tutto il museo sono pareti e arredi dalla dominante bianca con dettagli in rosso cupo, cromie che lasciano risaltare ogni singolo reperto e amplificano la luce che per secoli a quei tesori è stata negata. Luce proveniente dal cortile interno coperto a vetri, dal quale è stata ricavata grande piazza dedicata a Paolo Orsi, archeologo che già ben noto in Sicilia, è tra i fondatori del nuovo Museo Nazionale Archeologico.
Il progetto dell’esposizione è stato curato con grande attenzione affinché ogni singolo frammento potesse risaltare nella sua eccezionalità o essere incluso nell’insieme dello scavo, specificando in esaustive didascalie la sua specifica funzione. Sembra di camminare al centro di un libro aperto e di poter osservare a destra e sinistra dei lunghi corridoi tra le teche, le pagine di un enorme volume illustrato, ricco di curiosità e approfondimenti. Ci si sente accompagnati per mano alla lettura delle opere, grazie ai funzionali e funzionanti supporti multimediali, ricostruzioni grafiche e pannelli esplicativi.
L’allestimento inaugurato nel 2016 ha apportato notevoli modiche che puntavano dritto all’obiettivo della chiarezza, dell’ agile fruibilità di studi e scoperte per visitatori di ogni estrazione culturale, servendosi con grande efficacia di ogni mezzo comunicativo, ma senza troppi effetti speciali. I supporti multimediali costituiscono un discreto aiuto nell’interpretazione dei reperti, ma andrebbero sviluppati in maniera più intuitiva e più completa. Una piacevole sorpresa è la presenza di numerosi codici QR attraverso i quali i visitatori sordi potranno usufruire di una guida in LIS. L’apparato didattico si completa con illustrazioni abbinate ai frammenti, che ne mostrano l’aspetto originario, e da restauri che recuperano da piccoli brani, decorazioni e sculture complesse nella loro antica interezza, permettendone una eccellente godibilità.

Eccezionali le anastilosi dei templi di Lokroi Epizephyrioi: i decori in terracotta recuperano lo splendore del 425 a. C. sotto i nostri occhi, posti ad un’altezza adatta al godimento di ogni suo modulo, curva e pigmentazione. Ho apprezzato la gestione degli spazi in ogni sala, ma qui devo ho avvertito una sensazione di claustrofobia, credo che monumenti tanto grandi abbiano la necessità di uno spazio più scenografico in cui possano troneggiarne spioventi e sculture.
Attraverso le scelte di disposizione e collocazione dei reperti si procede in ogni livello approfondendo agevolmente la totalità degli aspetti storici della colonizzazione greca: l’aspetto di una polis nei suoi edifici laici e religiosi, la vita quotidiana di un cittadino e la sua sepoltura, fino all’ultima sezione dedicata alle importazioni e alle rotte commerciali, la vera linfa vitale degli insediamenti costieri.
In questo spazio che prelude al termine dell’esposizione, ammirando il candido Kuros di Reggio dai boccoli porpora,

lo sguardo magnetico del Bronzo A invita a raggiungerlo attraversando la porta, fiero e un po’ corrucciato con le sue labbra color rame.
Accanto, B che fissa il vuoto davanti a se con una posa plastica insieme rilassata e possente. La scena è tutta per loro e si crea tutto intorno il silenzio tanto si è assorti nell’osservarli. Ci si perde tra ricci e superfici levigate.
E’ al pian terreno che l’allestimento diventa più scenografico, guida lo sguardo marcando i punti di fuga con pezzi notevoli quali la metopa dipinta con una scena di danza e girato l’angolo un grande mosaico bicromo romano traccia della Regium Iulii.
“Quando vivi in un luogo a lungo, diventi cieco perché non osservi più nulla.” recita un aforisma del fotografo ceco Joseph Koudelka poco prima di invitare al viaggio. Io credo che per viaggiare non sia sempre necessario andare lontano, ma basti attraversare il mare (o anche solo una strada) ed entrare in musei come questo.
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