Pasquale Rotondi, un monuments man italiano

Nel 1984, il sindaco di Sassocorvaro apprende per la prima volta dell’esistenza di un’eroica vicenda, avvenuta durante il secondo conflitto mondiale, che ebbe come scenario la Rocca della sua città. Il protagonista è il Professore Pasquale Rotondi, al quale dobbiamo la salvezza di quasi 10.000 opere d’arte italiana. Quando il primo cittadino si mise in contatto con lui per ringraziarlo per le sue gesta, con limpido candore e un po’ di sorpresa, Rotondi esclamò “Era ora che qualcuno si ricordasse..”.

Dopo gli eventi del 1915, in cui a causa di bombardamenti vennero distrutti beni di inestimabile valore (ad esempio la Traslazione della Santa Casa di Loreto del Tiepolo a Venezia), ed operate spoliazioni dagli austriaci, in Italia si avvertiva la necessità di un apparato legislativo che preservasse i nostri beni culturali. Sono gli anni in cui si elabora la difesa e la tutela di tutte le opere d’arte temendo un secondo conflitto mondiale.

Sotto il regime fascista, tra il 1938 ed il ’39, la macchina amministrativa dedicata alla cultura, l’istruzione e la tutela dei beni culturali si applicò alla stesura stesura di un vademecum per i soprintendenti di tutto il paese, una serie di istruzioni per la messa a riparo delle opere d’arte mobili e la messa in sicurezza delle inamovibili. Al Ministero dell’Educazione Nazionale, a capo di ogni soprintendenza, c’era il ministro Giuseppe Bottai, che coadiuvato dal funzionario e noto critico Giulio Carlo Argan, per primo stanziò dei fondi per attivare il piano di salvaguardia del patrimonio storico artistico.

Le condizioni necessarie per una riuscita perfetta della tutela dei beni culturali nazionali era determinata da 5 fattori principali: 1) l’individuazione di luoghi segreti in cui sarebbero state ricoverate le opere 2) la dotazione di ogni soprintendenza di una quantità di mezzi e uomini idonea a tale trasferimento 3) la rapidità dell’operazione, da compiere in 3 settimane 4) la programmazione di sopralluoghi necessari per la predisposizione e la selezione degli stabili idonei alla custodia 5) l’ordine perentorio eseguire una qualsiasi direttiva solo se firmata dal ministro in persona.

Considerata la professionalità, e l’esperienza già maturata come Soprintendente all’Arte Medievale e Moderna di Ancona, il professore Pasquale Rotondi viene selezionato dal ministro per ricoprire il ruolo di Soprintendente alle Gallerie e alle Opere d’arte di Urbino, il 1° ottobre 1939, affinché applicasse le misure di sicurezza prestabilite a tutte le collezioni marchigiane. Il palazzo ducale di Urbino era stato individuato da Bottai e dal suo staff come luogo deputato ad ospitare i beni in fuga. Dapprima in accordo con la decisione, una volta arrivato a destinazione, il neo soprintendente si accorge dell’inadeguatezza della città stessa a tale ruolo: come poteva una città sede di un deposito di armi dell’aeronautica e punto di snodo ferroviario dell’intera regione essere luogo di tutela preventiva, essendo così prossimo ad obbiettivi di così alto valore strategico-militare? Iniziò dunque la sua ricerca di una sede più idonea, che detenesse i requisiti richiesti per un uso così delicato e importante. La sede da designare allo scopo aveva la necessità di presentare le seguenti caratteristiche:

  • Necessaria era la lontananza da obiettivi militari, quindi il raggio della ricerca toccava località di provincia, piccoli comuni o in campagna.
  • Molto importante era la distanza anche da reti di comunicazione o passaggi obbligati in quanto probabili scenari di appostamenti strategici.
  • L’edificio prescelto deve essere robusto, dalle mura solide, che possa resistere ad eventuali bombardamenti o manomissioni per furti.
  • Gli interni che non presentino ambienti umidità o muffe, dal clima temperato per un’ottimale salvaguardia di dipinti e codici.
  • Collegato alla rete idrica con acqua corrente per l’efficienza del un impianto antincendio.
  • Prossimo ad una unità di polizia.

Gli edifici che nelle nei dintorni di Urbino rispondevano a queste necessità erano la Rocca di Sassocorvaro e il Palazzo dei Principi di Carpegna. Il castello rinascimentale fu la prima scelta, e i lavori di adeguamento cominciarono immediatamente con la dotazione di un impianto antincendio con cisterna per la riserva d’acqua, mura anti scheggia alle finestre, tracce per la corrente elettrica che mettesse in comunicazione l’allarme tra la caserma dei carabinieri e la fortezza ed anche un tunnel sotterraneo purché i militari potessero rapidamente raggiungere le preziose casse in caso di emergenza.

Cominciò quindi la lunga processione di vetture verso il castello: solo il primo mese passarono tra le mani di custodi ed autisti capolavori di Giovanni Bellini, Tiziano Rubens, Piero della Francesca, Paolo Uccello,  Lorenzo Lotto e Perugino, per un totale di 35 casse e 18 rulli. Dopo qualche mese di regolare e encomiabile attività, gestita meticolosamente dal soprintendente, cominciano a non pervenire più fondi da Roma, tant’è che lo stesso Rotondi si autotassò per pagare il personale di vigilanza e dovette chiedere credito ai fornitori di una sirena a manovella istallata per l’eventualità in cui manchi la corrente elettricità il funzionamento dell’allarme.

Degli elogi di Bottai per l’ottimo lavoro di Rotondi si sparse la voce tra addetti ai lavori e funzionari, così che il soprintendente di Venezia decide di chiedere a lui aiuto per nascondere le ricchezze della serenissima. 1307 opere arrivarono, e le firme di Carpaccio, Giorgione e Mantegna in altre 5 casse e 16 rulli etichettati con cura. Il servizio di sorveglianza funzionava alla perfezione, e l’operato di Rotondi si guadagnò la fiducia non solo del soprintendente della serenissima ma anche dei responsabili territoriali di Lazio e Lombardia. Non avrebbe negato l’aiuto a nessuno di loro ma ormai lo spazio alla Rocca di Sasso era in esaurimento.

Come temuto, scoppiò la seconda guerra mondiale, e incominciò un avvicendarsi disordinato di personalità politiche e amministrative ai vertici del ministero dai quali Pasquale Rotondi non ricevette più direttive, né tanto meno sostentamento economico. Decise di recarsi a Roma di persona e far presente la situazione ai piani alti. Lì incontrò il dirigente ministeriale De Tommaso, ottimo riferimento che venne incontro alle sue esigenze organizzative e monetarie e lo coadiuvò nell’allestimento del secondo deposito marchigiano. Stanziati i fondi e (col consenso dei nobili residenti) equipaggiati in tempo record gli ambienti, fu attivato anche il ricovero di Carpegna per sopperire alle necessità di Lombardia, Puglia e Lazio e ad un ulteriore carico proveniente da Venezia. Quella fu l’ultima interazione che ebbe con l’organo centrale.

I principi di Carpegna si ritrovarono in breve tempo a condividere il tetto con il Tesoro di San Marco, Pala d’oro inclusa e casse e casse di capolavori come la Tempesta di Giorgione, il San Giovanni Battista di Donatello, il San Barnaba di Veronese, seguite da 87 casse dal Castello Sforzesco, Brera e il Museo Poldi Pezzoli. Si trovò anche lo spazio per le opere romane da Galleria Corsini, Galleria Borghese e provenienti dai corredi di chiese, tra cui i Caravaggio di Santa Maria del Popolo. Con orgoglio il Principe Francesco Falconieri ricorda l’inestimabile valore dei pezzi d’arte che aveva avuto l’onore di poter ospitare “…nessuna assicurazione poteva coprire il valore di quelle opere: dovevano riunire i Lloyds di tutto il mondo…”

Con l’arresto di Mussolini e l’istituzione della Repubblica di Salò i custodi ingenuamente tirarono un sospiro di sollievo, “la guerra è finita” dicevano pensando che presto sarebbero tornati a casa. La  preoccupazione di Rotondi invece crebbe, si era preparato ai disordini che erano naturale conseguenza di un evento simile.  All’interno degli uffici del ministero regnava il caos, così i funzionari che decisero di non seguire più le direttive mussoliniane vennero messi ufficialmente a riposo, ma, ufficiosamente, gran parte di loro continuò a portare avanti il proprio mestiere per il bene delle nostre collezioni. Fortunatamente gli uffici erano era pieni di funzionari e critici d’arte che svolgevano il loro ruolo con grande dedizione e professionalità, con vero e proprio amore per l’arte, tra cui lo stesso Giulio Carlo Argan, che era stato sollevato dall’incarico.

Con l’esercito italiano in via di dispersione, l’avanzata tedesca preoccupava Rotondi, conscio della smania di possesso del fuhrer e della gola che gli facevano i nostri tesori. In via preventiva decise allora di rimuovere ogni etichetta dalle casse e mischiarle tra loro, per provare a proteggere i preziosi confondendoli tra tele, vasellame e volumi.

La notte del 19 ottobre del 1943 un reparto di SS in completo assetto da guerra si presenta presso il Palazzo dei Principi di Carpegna, occupandolo. I tedeschi, assieme ai custodi, cominciarono ad ispezionare l’edificio e vedendo le casse si fecero l’idea che potessero contenere munizioni. Ne aprirono una e rimasero delusi: “Sono solo vecchie scartoffie” dissero. In realtà quella carta porta impresse le note scritte dalla mano di Gioachino Rossini. Se i nazisti avessero controllato la cassa a fianco avrebbero trovato il Tesoro di San Marco.

Rotondi cercò con le buone di convincerli a lasciare il presidio, spiegandogli che avrebbero dimostrato solo un pericolo per le opere d’arte, ma con spocchia gli risposero “Saranno ancora più al sicuro sotto la nostra custodia!”. Angosciato dall’idea che da un momento all’altro i nuovi nemici avrebbero potuto caricare tutto il ben di Dio che giace sotto i loro nasi sulle camionette e spedirlo in Germania (come fecero in Francia e nei territori occupati), tace l’esistenza del ricovero a Sassocorvaro sperando che non lo scoprano. Nel suo diario, il Soprintendente annota: “Non posso rassegnarmi all’idea che i tedeschi abbiano a loro disposizione opere insigni come la Pala d’Oro di Venezia, lo Sposalizio della Vergine di Raffaello o l’Amor Sacro e l’Amor Profano di Tiziano… ma certo non è facile sottrargliele”.

In quella situazione Pasquale Rotondi decide di non attendere ordini, ma di prendersi la responsabilità dello spostamento dei dipinti. Con coraggio organizza con i pochi e scarsi beni di cui dispone il trasferimento di una selezione di pezzi. Poco per volta, con i militari tedeschi che gli alitavano sul collo, trasportò decine e decine di tele e preziosi, utilizzando l’unico mezzo a sua disposizione: l’auto di servizio con autista e la benzina razionata concessa dalle SS. Ogni giorno, i suoi custodi lo aiutarono ad aprire le casse e, caricata la vettura i dipinti raggiunsero alcuni vani sotterranei del Palazzo Ducale di Urbino e della cripta della Cattedrale della città.

Durante il primo di questi trasporti si trovò però a dover evitare un posto di blocco all’ingresso della citta dei Montefeltro. La benzina non era sufficiente per tornare indietro. La famiglia di Pasquale, quella notte avrebbe avuto ospiti illustri! Con grande tenerezza la figlia Giovanna racconta che in quella notte a Villa Tortorina, abitazione della famiglia di Rotondi, non dormì, ma la trascorse ad ammirare con meraviglia La Tempesta di Giorgione e le altre pitture con incredulità poterle aver sottomano e allo stesso tempo conscia l’enorme onere di doverle custodire.

Ma a Carpegna, rimangono esemplari inestimabili che non entrano nel cofano di una berlina e che, data la quantità, hanno bisogno di essere allontanati in maniera più celere. Il Soprintendente lo sa bene, da solo non può fare molto altro per le opere custodite presso Palazzo dei Principi. Fu lui a chiedere aiuto ai suoi colleghi in questo caso e chiese al collega veneziano fargli da spalla per elaborare un escamotage: attraverso dei documenti compilati da uomini di chiesa, e redatta la richiesta – non a nome dello Stato Italiano, bensì a quello del Vaticano – di ritiro di alcune casse contenenti beni di proprietà di luoghi di fede della città lagunare le casse avrebbero avuto il via libera. La domanda venne accolta dai tedeschi. Pasquale Rotondi, approfitta di questa occasione e tra una cassa di pertinenza veneziana e l’altra ci infila tutto quel che può caricare sui camion.Coraggiosamente l’operazione viene ripetuta di nuovo a distanza di qualche settimana, questa volta con la complicità di Milano e del professor Pacchioni.

Nel frattempo, l’equipe di funzionari ministeriali “a riposo” elaborarono un accordo con lo Stato Vaticano purché la Santa Sede si prestasse all’asilo alle opere italiane in fuga dai tedeschi. L’accordo fu chiuso e i fondi per i trasporti furono stanziati. A pochi giorni dal Natale del 1943, Pasquale Rotondi riceve Emilio Lavagnino – ispettore centrale del Ministero dell’Educazione Nazionale – e di una colonna di automezzi. In maniera celerissima furono portate in salvo tutte le opere di Sassocorvaro e finalmente poté tirare un respiro di sollievo sciogliendo il segreto sull’ubicazione delle opere da lui celate all’esercito tedesco.

Ricordandolo nell’anno della sua morte, Giulio Carlo Argan nel 1991 scrisse “…Pasquale Rotondi era un intellettuale che amava servire la cultura piuttosto che servirsene … non distingueva tra l’amore per le cose dell’arte ed il dovere di difenderle”.

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Bibliografia e Sitografia

  • Pasquale Rotondi , quando il lavoro è un’arte – Chiara Lombardo – Giuseppe Vozza Editore.

Immagini Tratte da Wikipedia, Fondazione Zeri e Vanilla Magazine

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