“Dietro incarico del Direttore Generale di assumere la Direzione del Museo Nazionale di Messina e dietro telegramma del 28/9/’49 del Superiore Ministero, mi sono recata a Messina.” Inizia con queste parole il diario di Maria Accascina relativo all’avventurosa impresa, che permise la rinascita dell’odierno MuMe. Nata a Napoli, ma siciliana di origini, si ritrova all’età di 51 anni impegnata nell’impresa titanica di ridonare un passato alla città spazzata dal terremoto del 1908. I suoi studi (perfezionati sull’arte medievale e moderna) e le sue esperienze non furono mai messi alla prova così tanto. Già professoressa universitaria e reduce dall’esperienza del riallestimento della sezione medievale e moderna al Museo nazionale di Palermo, fu ritenuta dal Ministero la più adatta per risollevare le sorti di questo relitto alla deriva.
Alla Professoressa Accascina piaceva scrivere, scriveva tantissimo, di tutto e nel dettaglio. Possiamo leggere oggi tutte le relazione e i diari di ogni suo studio e incarico ricoperto. Sarà attraverso le sue parole che constateremo lo stato di assoluto abbandono del Museo Nazionale di Messina e la vergognosa anarchia che vigeva in quegli uffici deserti e luridi: “All’ingresso per la rampa e tutt’intorno al museo sono accatastate macerie e immondizie […] sul piano antistante razzolano le galline […] non esiste illuminazione elettrica […] presso i due padiglioni sulla spianata si accamparono i tedeschi prima e gli inglesi poi. Marmi, sculture, capitelli vari potevano essere asportati con tutta facilità.”. La situazione amministrativa ed espositiva non era meno disastrosa. Non avendo potuto fare un regolare passaggio di consegne con il suo predecessore, in quanto defunto, la direttrice dovette recuperare il materiale d’ufficio presso casa della vedova, trovando però ben poco. L’ultima inventariazione delle opere era risalente al 1929 firmata da Ettore Mauceri, e constava di soli 3 volumi, le cui pagine presentavano abrasioni e cancellature. Dei furti perpetrati negli ultimi anni ai danni della collezione museale si aveva già notizia*, ma l’analisi di quegli elenchi metteva in luce il legame tra il ladro e l’istituzione museo. Gli uffici erano infatti da tempo abbandonati a se stessi, di due funzionari designati, nessuno si presentò a svolgere il suo lavoro né fu richiamato dal precedente responsabile, lasciando che quelle stanze restassero occupate solo da armadi chiusi a chiave e decenni di mozziconi di sigari. Denunciata la situazione venne a galla proprio che il Sig. Omero, custode e restauratore, già indiziato da quattro anni per furto, traffico e falsificazione, continuava comunque a frequentare il plesso indisturbato. Com’è costume in ambienti abbandonati all’anarchia dei facinorosi, seguirono minacce e ricatti.
In relazione al criterio espositivo degli ambienti, continua nella sua relazione Maria Accascina “l’ordinamento del materiale artistico è risolutamente antiscientifico […]quadri sovrapposti in parecchi ordini, mancanza di un criterio espositivo cronologico…”. Il tutto custodito in sale, se così è possibile chiamarle, con pavimentazione in cemento grezzo, tinteggiatura rosa o rosso cupo (dalla stessa direttrice definita “da osteria di campagna”) e travature del tetto scoperte.
Tutti presupposti poco incoraggianti che avrebbero spinto qualsiasi soggetto dotato di poca personalità e scarsa professionalità a darsela a gambe. Credo che a lei non sarà nemmeno passato per la mente di fuggire da questa immane responsabilità.
Iniziò immediatamente la catalogazione fotografica delle opere e l’organizzazione degli spazi di deposito, selezionando quali ambienti fossero più sani (o meno esposti alle intemperie per lacune del soffitto) per la conservazione dei dipinti, interpellò il direttore del Genio civile per il restauro degli ambienti “in deplorevoli condizioni” e istituì immediatamente la guardia notturna.
Procedendo dall’esterno del plesso verso il suo interno, dissotterrando dalle piantagioni orticole le rovine della città depositate sulla piana di San Salvatore dei Greci, fianco a fianco con gli operai, censì ogni scultura, rilievo o frammento architettonico, terminando questa impresa titanica già nel 1957.
Da tempo era stata avanzata la proposta della costruzione di un museo tutto nuovo, ed i progetti a firma del Valenti e Mallandrino erano stati già sottoposti alla valutazione delle autorità pubbliche. Disegni che per posizione geografica e concezione spaziale erano del tutto antitetici. A questo dibattito la Direttrice rispose che “più che un conflitto di idee era un conflitto di interessi che, durando già da parecchi anni, aveva causato l’abbandono di tutto il materiale monumentale agli sterpi e alle ortiche e determinava ora una tacita opposizione a ogni progetto di immediati restauri all’edificio per renderlo meno indecoroso”. Non gliele ha mandate a dire. Maria Accascina rinuncia temporaneamente al nuovo edificio, in favore di un azione più immediata che consenta un’esposizione, seppur provvisoria, delle opere con criteri museali moderni e che ne mantenga intatto lo stato di conservazione, richiedendo un finanziamento per ristrutturare i locali della filanda Mellinghoff e creare tutt’intorno un parco, un museo a cielo aperto “lontano dal traffico cittadino, in una zona di silenzio e raccoglimento”. Il parco non fu mail realizzato, ma partirono immediatamente i restauri delle opere e i lavori in filanda.
I moderni criteri di ordinamento adottati sono una vera ventata di aria fresca! La stessa direttrice scrive che saranno le stesse opere a suggerirle una disposizione, una tale esposizione alla luce o inclinazione dei supporti, ripromettendosi di abbandonane il proprio gusto personale, lasciando la scena a ciò che i pezzi hanno da insegnare, in un contesto di assoluta semplicità in cui siano i soli protagonisti: “gli eccessi di umiltà dei sostegni, come gli eccessi di sontuosi velluti o cornici mi appaiono biasimevoli, perché, tanto i primi quanto i secondi, vengono spesso dettati da presupposti razionalistici non suggeriti dall’opera stessa”. Nei suoi scritti non nasconde la difficoltà nella cernita delle opere da mostrare e quelle da archiviare, e nemmeno le remore con le quali cede alcuni pezzi ad istituzioni nascenti come l’Archivio storico del Comune, al quale passa importanti documenti risorgimentali, vessilli e armi, o al nuovo Municipio ed alla facoltà di Architettura.
Il 6 giugno del 1954, alla presenza del ministro della pubblica istruzione, il messinese Gaetano Martino, il museo riapre i battenti e nulla del itinerario tracciato da Maria Accascina, tradisce l’irrisoria spesa affrontata per l’allestimento (alcune sculture poggiavano su pietre di risulta degli scavi della piana, staffe e supporti mobili erano barre in ferro). Tutto fila nelle sei sale dedicate alla pittura, così come nelle cinque dedicate alla scultura, ed anche in quelle che ospitano prestigiosi esemplari di arti applicate ed all’archeologia. Un percorso limpido che illustra la storia di Messina attraverso argenti e stoffe, vasellame antico e moderno ed i dipinti di Caravaggio e Antonello.
Il suo ruolo da direttrice continuò fino al 1963, anno del pensionamento, ampliando l’esposizione con sale per le monete e le ceramiche moderne, e rendendo il polo museale lo scenario di concerti, mostre e concorsi di pittura. Scrive Francesca Campagna Cicala “L’attaccamento al suo lavoro, e sopratutto l’amore verso quei materiali e quelle opere che non è eccessivo né retorico affermare che avevano costituito parte predominante della sua vita, la portavano a chiedere al Ministero una continuazione dell’attività al Museo di Messina adducendo a motivazione che, non essendoci un funzionario cui fare regolari consegne, la direzione del Museo, in un momento così delicato, sarebbe stata soggetta a pendolarità, certamente dannosa per i suoi sviluppi scientifici e per la difesa e tutela del suo patrimonio.“. Purtroppo il rinnovo dell’incarico non le venne concesso.
Pubblico oggi questo mio omaggio, in coincidenza al 65esimo anniversario dell’inaugurazione del museo che porta il nome di una donna forte, che ha rispettato la nostra memoria ridonandole dignità, liberandola dalla coltre di infamia e distruzione che gli stessi messinesi hanno messo in grave pericolo.
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*Nel 1957 la Procura della Repubblica di Messina dichiarò che tra il 1939 e il 1943 erano state sottratte al museo circa 260 opere, tra cui dipinti del Quattrocento, Cinquecento e Seicento, una raccolta completa di monete d’oro e le maioliche della farmacia di Castanea.
Bibliografia:
- Archivio Bibliografico del Comune di Palermo https://www.comune.palermo.it/archivio_biografico.php?sel=1&asel=18
- VERSO IL NUOVO MUSEO – L’ordinamento di Maria Accascina del 1954: progetti, relazioni, documenti – 1998 – Regione Siciliana Assessorato dei Beni Culturali Ambientali e della Pubblica Istruzione.
Ho conosciuto la Professoressa Maria Accascina. Ero una bambina e nel 1960 mi aveva impartito lezioni di francese. La domenica pomeriggio in estate mi portava al cinema giardino e poi mi comprava anche il gelato che mangiavamo di ritorno a casa. Le portavo tutti i giorni le gardenie che mia madre coltivava a casa e pure i gelsomino.
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Che fortuna averla conosciuta! La stimo davvero molto. Grazie per aver condiviso con me questi meravigliosi ricordi
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