Piccola premessa
Da messinese innamorata dell’arte, fin dalla tenera età, infilavo la testa tra i pioli che recintavano il palazzo che avrebbe ospitato museo, per cercare di intravedere qualcosa dell’interno, anche solo un operaio a lavoro mi dava la speranza di un progresso e di una prossima apertura.
Durante il mio percorso universitario ebbi la fortuna di poter pendere dalle labbra della Dottoressa Francesca Campagna Cicala, ex direttrice del museo. Una delle sue lezioni si tenne tra gli strati di polvere del cantiere. Emozionante? Senza dubbio! Vedere come tutto prendesse forma è stato molto interessante. Si, bella luce naturale, nessuna barriera architettonica, gran continuità tra esterni e sale, ma… Io ed i miei colleghi siamo stati sorpresi dai colori pastello di molti pannelli, scelti purché fossero complementari o in pendant con l’opera a cui avrebbero dovuto fare da scenario. C’era dove era tutto un fondo di vellutata di pisellini primavera findus e dove ti ritrovavi un perfetto tono Peppa Pig . E fu subito SGOMENTO! Quei pannelli erano, oltre che un pugno nell’occhio, una soluzione antitetica all’idea di versatilità ed armonia degli spazi. “L’idea dell’impianto espositivo vuol rendere omaggio anche a Carlo Scarpa, anche lui aveva creato un progetto per il nostro museo” diceva l’architetto museografo che ci ha accompagnato, intanto io sentivo ad una penisola di distanza il rumore del povero genio che si rigirava nella tomba!
OK, andiamo a giorni nostri.
A dicembre dello scorso anno la prima inaugurazione … bhe si, ne sono state fatte due. Si sa che in Sicilia abbiamo sempre un buon motivo per far festa… per così dire. Prima inaugurazione, dicevo, accesso gratuito per due giorni e grandissima affluenza dei miei concittadini. Aperte le sezioni archeologica e del periodo cinque-seicento. Solo? Se vi pare poco è solo perché non avete minimamente idea della ricchezza di questa collezione!
La zona archeologica rispetta il criterio cronologico (come tutto il museo) partendo da reperti di insediamenti preistorici finendo a ritratti di fattura romana, regalandoci chicche come il Rostro di Acqualadroni, e un paio di notevoli esempi di scultura classica. Il tutto accompagnato da semplici didascalie delle singole opere e pannelli illustrativi delle zone di rinvenimento e dell’epoca stoica di pertinenza. Tutto regolare.
Questo settore è adiacente ai resti della Cripta della chiesa di San Salvatore dei Greci. La piana su cui posa il museo, infatti, ospitava in passato un antico monastero. Oggi il museo ne ha inglobato i resti e li mostra giocando con gli spazi interni ed esterni: in posizione ribassata rispetto al piano di calpestio il sacro locale sotterraneo e dritto d’avanti a noi, attraverso una grande vetrata vediamo i resti dell’abside.
L’area che ospita le opere moderne viene aperta da una finissima Madonna con Bambino di Antonello Gagini ed un tondo della scuola di Luca della Robbia, più avanti una sequenza di pale d’altare e di monumenti funerari che da troppo tempo ormai non vedevo esposti. In essi volti familiari che mi accoglievano come fossero vecchi amici vestiti a festa, che mi accoglievano nella loro nuova casa. La mia gioia era soprattutto vedere che quegli orridi colori pastello erano scomparsi dalle pareti, menomale! Le spatolate stile stucco veneziano no invece, sono ancora lì, e sono ovunque.
Sul fondo di questo settore, il re dei mari e di tutto il museo: il Nettuno del Montorsoli, accompagnato da Scilla, resti della fontana cittadina nei pressi del porto. Inutile dire che rispetto alla pubblica copia ottocentesca, la plasticità dei muscoli e la possanza tipici del maestro dello scultore, Michelangelo, sono proprio tutta un’altra storia. Da notare anche l’opera sotto l’opera: in parte a vista, è possibile scorgere l’impianto antisismico su cui poggia la base della statua, uno dei primi (se non il primo) progettato negli anni 70 per la salvaguardia dell’opera in caso di calamità.
Poco in avanti, con un effetto sorpresa ed in una penombra appositamente creati da pareti divisorie, la sala dedicata ai due Caravaggio. L’idea di Carlo Scarpa per questi due capolavori era di poggiarli su di un fondo nero, suggerendo allo sguardo una continuità tra lo spazio e la loro narrazione. Qui invece ci troviamo davanti ad un fondo grigio e con un’illuminazione fioca posta alla base e al vertice delle tele, che sinceramente non riesco a capire. Eccolo il punto dolente: ridicolo, inadatto, insulso e vergognoso è l’apparato di luci. Qui e nello spazio adiacente dedicato ai caravaggeschi leggere le opere è un continuo danzare davanti ai dipinti per beccare il punto da dove il riflesso dia meno fastidio. Luci calde e fredde miste nella stessa lampada, che pende dal soffitto retta da dei cavi a dir poco inguardabili.
Sembrerebbe comunque che stiano cercando di recuperare: sul sito internet del regionale è possibile sfogliare la determina con la quale viene indetta la gara d’appalto che dovrebbe risolvere questo problema. Speriamo bene.
Lo scorso 17giugno, il secondo vernissage. Libero accesso, solo per due ore e mezzo (mha!) ai restanti spazi: medioevo e quattrocento ed al piano superiore tutta la nostra arte che va dal seicento fino all’ottocento.
Adesso la dicitura Interdisciplinare trova un senso, finalmente viene dato spazio anche le arti applicate.
La zona medievale ospita il visitatore nella Messina multiculturale dell’epoca aprendo con un iscrizione ad intarsio in lingua araba, un opera unica, rara e bellissima. Più avanti mosaici e resti dell’antico duomo, goffe sculture e dipinti di stile gotico. Di rimpetto, volgendo lo sguardo all’esterno, è possibile godere anche di alcune anastilosi architettoniche contemporanee alle opere esposte. Mi piace! Lo reputo un invito a cercare tutto intorno a noi rimandi e congiunzioni, anche oltre le barriere. L’unico problema è che dall’interno le didascalie siano impossibili da leggere perché poste alla base dei reperti.
Ricavati nel percorso piccole salette: una ospita un fondo di manoscritti conservati perfettamente, un’altra è dedicata al polittico di San Gregorio del maestro Antonello da Messina. Qui finalmente la luce è azzeccata!
Attraverso delle rampe illuminate da grandi lucernari si raggiunge il piano superiore dedicato alle arti che vanno dal barocco all’ottocento. Degne di nota sono le rappresentanze dell’oreficeria, ebanisteria, incisione e cartografia. Per ciò che riguarda i favolosi dipinti della collezione sono rimasti anche loro vittime della pessima illuminazione.
Uno spazio consono alla sua ricchezza viene occupato dalla Carrozza senatoria alla quale ormai tutti i bambini della città sono affezionatissimi, accompagnata da due troni e alcune opere over size, che per questa loro caratteristica fisica si ritrovano però un po’ fuori dalla loro giusta collocazione cronologica. Perdonabile! L’effetto scenico è comunque molto piacevole, godibile anche da una posizione un po’ rialzata grazie ad un piccolo balconcino che agevola la visione di insieme.
Questo ed altri espedienti sono stati utilizzati per dare un unione visiva a tutta la collezione. L’occhio è invitato alla curiosità, attraverso fessure e riquadri nel cemento che inquadrano le opere come in un’istantanea. Si visita il museo con una continua voglia di scoprire cosa ci sorprenderà più avanti, invogliati da scorci appositamente creati per anticiparci le opere più belle.
Si ma si può dire che un museo costruito trenta anni fa sia un museo “nuovo”? La mia risposta è no. E’ un museo moderno ma non contemporaneo, con un architettura molto accattivante, ma dalla didattica ormai obsoleta tanto quanto l’impiantistica delle luci. Ma finalmente è aperto. Invito chiunque abbia letto queste mie righe a visitarlo, una collezione così ricca e completa li vale quegli 8€ euro di biglietto.
Per quanto riguarda le migliorie da apportare, porgo il mio augurio di buon lavoro allo staff tecnico ed alla direttrice del plesso.
Dopo così tanto tempo Messina ha un museo degno di tale nome. Grazie.