Questa storia non ha nulla da invidiare a quella di Lady Gaga in a Star is born, è solo un po’ più colorata. Tratta di Emma Albani, stella internazionale del XIX sec. , soprano canadese che sbocciò in Sicilia. Un pò perchè è quasi dimenticata, un pò perchè leggendo le sue parole ho ritrovato in pò le radici della mia gente, ho creduto che scoprire uno spaccato dell’8oo inedito potesse essere piacevole per chi sogna di fare un salto indietro nel tempo. Nella sua autobiografia Forty Years of song (disponibile solo in inglese), troviamo tanti dettagli sulla vita che si conduceva in Sicilia alla sua epoca, riportati con il candore di chi non credeva nemmeno possibili alcuni fenomeni e vi si è approcciato con goffaggine si, ma con mente e cuore aperti.

Marie Louise Emma Cecile Lajeunesse, non aveva un brutto cognome ma, per esser più facilmente ricordata, decise di cambiarlo in Albani e di scegliere uno solo della sua moltitudine di nomi su consiglio del suo insegnante di dizione italiana. A quanto pare però funzionò ed ancora oggi i melomani più incalliti ricordano il suo canto.
Nasce il primo di novembre del 1847 in una casetta piccolina in Canadà, a Chambly, che oltre ad ospitare pesciolini e fiorellini di lillà, era un caldo nido per la musica: il capofamiglia era organista professionista, la madre una pianista amatoriale. Marie Louise si avvicina a quest’arte quasi senza accorgersene: tra una lezione di arpa ed una di piano, i suoi cari si sorpresero delle sue doti canore. Le scuole religiose canadesi purtroppo non avrebbero potuto darle un’istruzione consona al suo livello. Con grandi sacrifici economici ed organizzando alcune esibizioni nello stato di New York (ad Albany per l’esattezza…) riescono a racimolare una discreta somma e a 21 anni Emma attraversa l’oceano per studiare a Parigi prima e a Milano poi.
Una cosa è certa: era brava. Tanto. È la cocca di Duprez (ex tenore votato all’insegnamento) che non esita a confermare che “Si lei ha una bella voce ed il fuoco sacro, è fatta del legno di cui sono fatti i flauti pregiati”, ma la bacchetta a dovere insistendo sul suono di ogni singola sillaba e sul valore del suo significato. La scova il principe Paniatowski che da grande amatore della musica e talent scout ante litteram la raccomanda al Maestro Lamperti di Milano, insegnante che la stessa Marie Louise dice sia il migliore al mondo, in quanto tra gli ultimi promotori del metodo italiano, meno basato sulla tecnica muscolare ma attento alla limpidezza dei suoni, stile già all’epoca in via d’estinzione. Lamperti dal canto suo era molto soddisfatto dei progressi dell’allieva, la prorompenza della sua voce era per lui una “bottiglia di seltz; devo solo togliere il turacciolo, ed esce tutto fuori”. Tra le lezioni di canto e quelle di dizione i fondi con i quali partì si stavano esaurendo.
Assume il suo nome d’arte e valuta proposte contrattuali per cominciare a guadagnare della sua arte. tra quelle ricevute una proveniva dal teatro di Messina, il Sant’Elisabetta, oggi Teatro Vittorio Emanuele. Lamperti la spronò a scegliere la città dello Stretto per il suo debutto, avvisandola che sarebbe stata la prova del fuoco: il pubblico di Messina era (e tutt’oggi è) il più difficile e spietato, il successo su quel palco sarebbe stato un vero successo, quello che avrebbe confermato il suo talento.
Firma il contratto con l’impresario Mastrojeni per soli 20 £ al mese. Per il debutto (il 22 dicembre 1869) va sul sicuro interpretando Amina ne La Sonnambula di Vincenzo Bellini, il suo cavallo di battaglia.
“Lasciai Milano per Messina, sentendo di aver raggiunto il punto di svolta della mia carriera. Nonostante la buona opinione e l’incoraggiamento del mio grande maestro, ho comunque intrapreso il mio viaggio col cuore in ansia; ma avevo costantemente davanti a me l’elevato standard artistico verso il quale mi sforzavo incessantemente di elevarmi – un ideale che all’inizio, e in effetti da allora, mi ha aiutato così tanto a superare le incertezze e le ansie inseparabili da una vita artistica”
Avete appena letto una perfetta fusione di perfezionismo ossessivo fuso con l’ansia da prestazione. Tipico dei migliori!

“Ma i miei dubbi e le paure furono presto alleviati, perché alle prove orchestrali, quando ho finito la mia prima aria, il direttore d’orchestra ha fermato tutti e mi ha detto “figlia mia il tuo successo è assicurato, e sarà grandioso”. Sono felice di poter dire che la sua profezia si è rivelata vera, perché allo spettacolo il pubblico è stato molto entusiasta e alla fine dell’opera mi ha chiamato davanti al sipario per quindici volte.”
L’esigente pubblico messinese passa da un estremo all’altro senza mezze misure: o ti idolatrano o ti disprezzano senza diritto di replica. Ad Emma è andata bene, evidentemente le sue doti canore dovettero risultare irresistibili quanto il canto delle sirene per Ulisse. A creare il vero e proprio culto di Emma Albani cominciò già la stampa locale
“La Gazzetta di Messina ha un po’ esagerato quando si scrisse che il pubblico era rimasto “così sorpreso e affascinato che improvvisamente il teatro sembrava esser diventato una gabbia di matti, tali erano le grida, il battito delle mani, i richiami alla mademoiselle Albani che ammutolita, scoppiò in lacrime per un’emozione che deve averla provata più dell’esecuzione dell’intera opera”.
La giovane soprano cantò per l’intera stagione a Messina, consolidando la propria sicurezza personale e cominciando a maturare speranze per il suo futuro.
Ora arriva la parte divertente. In questi brani delle sue memorie Emma Albani racconta di qualche episodio riguardante i suoi fan più sfrenati. Per gli incontri con gli ammiratori che ha voluto raccontarci, usa la parola incidents, e lo so che in inglese può significare anche episodio, ma l’assonanza con la parola italiana mi ha fatto sorridere.
“Un giorno un messaggero venne a casa mia e lasciò un enorme pacco, contenente una grande quantità di preziosi gioielli – bracciali, spille, anelli, ecc … oltre a scialli bianchi e neri e qualche pizzo inestimabile. C’era un biglietto da visita, il nome mi era sconosciuto. Ho chiesto on giro e son venuta a sapere che il mittente di questi articoli era un gentiluomo che aveva avuto problemi mentali poco tempo prima, ma da allora si era ripreso. La grande eccitazione provocata dalla sua presenza all’opera durante la mia rappresentazione aveva provocato un nuovo scompenso al suo equilibrio mentale. Accertatami che fosse lui il mittente, restituì immediatamente il pacco. In seguito ho saputo che il povero signore era stato rimandato in casa di cura per matti”
“Ricordo un altro episodio che mi ha fatto molto piacere. Una sera, un vecchio anziano signore ha chiesto di incontrarmi sul palco, aveva circa 90 anni ed era un po’ cieco. Fu un prigioniero politico e perse la vista durante la sua prigionia. Era molto rispettato da tutti a Messina. Possedeva delle proprietà note per la coltivazione dei migliori mandarini siciliani. Ha apprezzato moltissimo il mio cantare, veniva sempre a sentirmi e volle portarmi un po’ delle sue oranci de paradiso come lui le ha chiamate. Mi ha detto, in tutta confidenza, che non ha mai sentito una simile interpretazione de La Sonnambula cantata per come io la canto da quando sentì Persiani*”.
La fama di Emma si allargò a macchia d’olio e per la serata inaugurale del Teatro Bellini di Acireale, il 15 maggio 1870, fu scelta lei per battezzare quel palco, oggi purtroppo non più calcato dal 1952 a causa di un incendio. Al tempo ad Acireale, non c’erano hotel. La generosa ospitalità siciliana non tardò a manifestarsi. La soprano alloggiò in un appartamento in un antico palazzo disabitato messo a disposizione sua e della compagnia.
“Avevo una camera da letto con sei finestre, tre di queste affacciavano sull’Etna e le altre tre sul mare, due delle vedute più incantevoli immaginabili […] Una famiglia mi ha inviato del vino, una cesta di frutta e della carne. Poco dopo arrivò un enorme vassoio di torte e dolci da uno dei conventi; ogni mattina c’era abbastanza per sfamare un reggimento, e molto di più di quanto fosse consigliabile che una primadonna mangiasse.
Si esibì nuovamente ne La Sonnambula, proprio in un teatro dedicato al suo autore, ed al suo onorario si aggiunsero innumerevoli mazzi di fiori, regali, poesie e biglietti che le piovevano da ogni dove “…tra questi bouquet uno a forma di cesto in cui era stata nascosta una colomba viva. La avevano dipinta di rosso, volò per tutto il teatro”. Emma si meravigliò del fatto che pur non avendo un agente o un addetto stampa, vennero ad ascoltarla ad Acireale spettatori da tutta l’isola. Dopo la sua esibizione l’inviato Bertolami di un non meglio identificato Sicilian Courier scrive
“Emma Albani è una creatura privilegiata, in cui sia la Signora che l’artista stanno alla stessa eminenza, in cui sono all’unisono l’attrice e la cantante; né si può dire se sia più notevole per splendore di genio o potere di pensiero, acutezza di idea o fedeltà di esecuzione, pienezza di melodia o gusto nella variazione. […] La voce di Albani non è fatta per soddisfare le persone per cui canta, come dice Carlo Botta, ma per riempire tutti i cuori che, nella sfera artistica trovano consolazione a tutte le miserie terrestri. Albani, in breve, è come un’artista che ispira rispetto, mescolato con affetto, entusiasmo insieme a riverenza. Converte alla religione dell’arte […] Immagina la Sonnambula, quell’idillio sovrumano e inimitabile, con questa giovane creatura proveniente da oltre l’Atlantico, eppure con una così vasta percezione dell’arte italiana!”
La figlia di Vincenzo Bellini la chiamavano in tutta l’isola!

In un’ipotetica intervista avrei chiesto ad Emma quale pezzo di Sicilia le abbia rapito il cuore ed ha portato con se nel suo lungo viaggio professionale, che finì per farla approdare al Convent Garden di Londra come componente della compagnia, al cospetto dei reali a Buckingam Palace ed a Sanpietroburgo, di nuovo in America e poi in Germania a mietere successi. Lei avrebbe risposto così.
“Dopo tutta questa gentilezza ed entusiasmo dei calorosi siciliani, mi è dispiaciuto molto lasciare la Sicilia, la sua gente, il suo bel clima, la sua ricchezza di fiori e frutti, e il suo cielo azzurro. C’è qualcosa però che apprezzo ancora di più del clima: l’infinità di opere d’arte, di cui è ricchissima. In Italia, ovunque si vada, ci si imbatte in bei dipinti e sculture, antiche chiese e resti greci e romani unici e ogni genere di cose artistiche. Ho sempre sostenuto che qualsiasi artista, sia esso un cantante o un pittore, dovrebbe cogliere ogni opportunità di vedere e studiare opere d’arte, e dovrebbe vivere in un’atmosfera d’arte. Sono certa che allarghi la mente e sono dell’idea che ogni tipo d’arte possa aiutare le altre. […] Trascorrevo gran parte del mio tempo libero visitando pinacoteche e musei, pendendo spunto dai dipinti per i dettagli dei costumi di scena nei casi in cui l’opera fosse storica o tratta da una poesia o da una storia ben nota. Inoltre ho cercato raffigurazioni e statue dei personaggi che stavo studiando e libri su di loro, per trovare l’ispirazione per i gesti da portare sul palco ed entrare meglio nella parte.
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* Fanny Tacchinardi coniugata Persiani (Roma, 4 ottobre 1812– Parigi, 3 maggio 1867) è stata un soprano italiano, interprete del belcanto e in particolare delle opere di Rossini, Donizetti, Bellini e del primo Verdi.