Fiumara d’arte, oggi rappresenta il prototipo di un progetto di riqualificazione di centri abitati in via di spopolamento attraverso l’arte contemporanea, paesi ricchi di storia e tradizioni antiche, che stavano sprofondando nell’oblio, habitat ideale per il malaffare, l’abusivismo e la mafia. Realizzarlo non è stato affatto semplice, e delle vicissitudini che portano alla realizzazione di questo esteso parco che tocca 12 comuni dei Nebrodi, di cui oggi finalmente possiamo fruire ne parlo dettagliatamente qui. Opere e committente sono stati messi in pericolo sotto molti aspetti, vi consiglio vivamente di approfondire al mio articolo linkato, per scoprire quanto voluta e sofferta sia stata realtà.
Antonio Presti è l’unico erede di una grande impresa edile, ed alla morte del padre, con la diffidenza dei suoi operai, decide di condurla all’insegna della legalità, senza sotto stare al regime di corruzione degli appalti pubblici, e investendo gran parte dei proventi per migliorare la qualità delle condizioni di lavoro dei propri operai e delle loro famiglie. Allo stesso tempo sentiva comunque che quella non poteva essere la sua vita, infatti la sua passione per l’arte lo aveva portato ad intrecciare interessanti legami nelle gallerie romane. Da tempo gli frullava in testa l’idea di commissionare un opere in memoria del padre, una grande croce piantata sul letto della fiumara di Tusa. Su via Margutta conobbe Roberta Du Chene, amica dello scultore Pietro Consagra, fece loro da sensale facendoli conoscere. L’incontro tra l’artista e Presti portò alla creazione della prima scultura, che non aveva nulla a che fare con la croce pensata in precedenza: l’autore di questa scintilla fu proprio Consagra, che suscitò in Antonio il pensiero di sostituire l’idea con qualcosa di più evocativo.
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La Materia poteva non esserci Pietro Consagra -1986
Una grande scultura di 18 metri realizzata in cemento armato dipinto, commissionata da Antonio Presti allo scultore nel 1986 per commemorare il suo defunto padre.
Pietro Consagra (1920-2005), siciliano d’origine, è a Roma che trova la sua dimensione artistica. Qui è firmatario nel 1947 del manifesto formalista Forma 1 , corrente che mediava tra i realismo e l’astrattismo. Partendo dai problemi pittorici legati all’elaborazione del linguaggio cubista predilige la forma del rilievo con visione frontale. La nuova scultura tende ad abbandonare i materiali tradizionali per quelli industriali e poveri.
L’opera fa parte della serie degli addossati, si compone infatti di due elementi di colori opposti. Curve che si librano nell’aria ad alleggerire la propria consistenza e rievocano la natura che lo circonda, l’acqua ed il vento.
La scultura si trova sul gretto del torrente Tusa. Fu proprio il luogo scelto che costrinsero i due a studiare a lungo per la staticità dell’opera: “le fondamenta potrebbero reggere una palazzina” affermò lo stesso Presti in un’intervista, mentre Consagra si preoccupò che le sue curve resistessero al forte vento invernale che soffia nella zona.
Tra l’elemento bianco e quello nero, uno spazio di 80 cm praticabile, ti invita a guardare verso il cielo e riflettere sulla materia, che per quanto si possa alleggerire e spogliare della terza dimensione, cerca invano di sublimare il valore spirituale di ogni elemento naturale o essere vivente.
Il 2 luglio del 1990 è stata ordinata la demolizione de LA MATERIA POTEVA NON ESSERCI per la violazione della legge Galasso in materia di beni ambientali. La scultura comunque non verrà distrutta, poiché Presti ricorse in appello alla Corte di Messina. Col passare degli anni il reato cadde in prescrizione e l’opera venne finalmente riconosciuta e tutelata dalla Regione.
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Sembra che a far scattare la vera scintilla della creazione di un Parco da donare alla gente, alla Sicilia ed al mondo, nacque proprio durante un colloquio tra Presti e Tano Festa: come a volerlo istruire l’artista spiegava al siciliano che un vero cultore dell’arte collezionava le opere accumulandone un gran numero, aspettando che acquistassero maggior valore. Infondo è quello l’andazzo del mercato! Antonio trovò quell’idea arida, venale ed egoista, e nel credere fermamente che delle opere senza pubblico, chiuse in cassaforte, perdessero la loro ragione di esistere, cioè la comunicazione, ebbe la visione di un progetto così grande, un regalo per ognuno che volesse accogliere la bellezza. “Vi siete incazzati per una scultura? Allora ve ne regalerò 12!” pensò, in relazione ai fatti giudiziari scatenatisi.
Il fortunato dialogo sembra proprio sia avvenuto nello studio di Festa, davanti ad un bozzetto che sarebbe diventato una delle opere più famose dell’intero parco.
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Monumento per un poeta morto Tano Festa – 1989
L’opera postuma, conosciuta per lo più come “La finestra sul mare”, è dedicata al fratello poeta dell’artista, Francesco Lo Savio. Si trova sulla spiaggia di Villa Margi, alla foce del torrente di Santo Stefano Di Camastra.
Tano Festa (1938 – 1988), Formatosi attraverso la pittura informale e che predilige il segno come quella di Twombly, approda nella Pop Art romana in compagnia di Angeli e Schifano. Caratterizzano la sua produzione di questo periodo un tratto infantile, colori vivaci e la serie delle finestre. Accoglierà influenze New Dada e materiali poveri per alcuni Ready Made. Nel 1963 morì suicida il fratello, episodio che inciderà moltissimo sulla sua arte. Celebri sono le sue citazioni di arte rinascimentale italiana e ottocentesca francese.
Una grande cornice quadrata in cemento armato, alta 18 metri, dipinta di azzurro inquadra perfettamente il tramonto estivo. il riferimento al cielo è confermato da nuvolette bianche bidimensionali, infantili nel tratto, ricordo di innocenza e della serenità che alberga dentro di noi.
Elemento di rottura di questa armonia, un grosso monolite nero, che sfonda lo spazio in senso sagittale e indica il tramonto del sole: chiara allusione all’evento che traumatizzò la sua vita, il suicidio del fratello. Tematica questa ricordata anche nella scelta della collocazione dell’opera, la fine di un corso d’acqua.
Presti, al momento della costruzione ottenne l’autorizzazione dal comune di Reitano, documento di cui si persero le tracce una volta avviata la campagna antiabusivismo edilizio che inseriva la scultura nella lista insieme ad altre costruzioni illecite. 25 ottobre 1993 la sentenza pronunciata dalla Corte di Appello di Messina ordina la demolizione della Finestra e la condanna del Mecenate. Si ricorse in appello, sperando che potesse essere applicata una nuova legge regionale che prevedeva il salvataggio della scultura se espressamente richiesto dal sindaco per la pubblica utilità locale.
Il sindaco tacque. A salvare e riconoscere tali questa e le altre opere intervennero i lenti tempi tecnici giudiziari, che fecero andare in prescrizione il reato, e una raccolta firme di 3000 esponenti della cultura internazionale indirizzati all’assessorato regionale.
Il 23 febbraio del 1994 la Corte di Cassazione chiude la vicenda annullando l’ordine di demolizione del Monumento per un poeta morto
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Durante la costruzione dell’opera di Consagra, Antonio Presti contattò comunque un altro scultore, nonostante già cominciassero a piovere denunce: Paolo Schiavocampo con lui percorsero le ripide strade in salita per raggiungere un luogo preciso, che riuscì ad ispirare particolarmente l’artista.
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Una Curva Gettata alle Spalle del Tempo – Paolo Schiavocampo – 1988
Sulla strada provinciale che unisce Castel di Lucio a Pettineo, si staglia un monolite di cemento coperto da fasce di ferro, alto 7 metri e mezzo per 6 metri e mezzo di larghezza
Paolo Schiavocampo (1924) fù alievo di Giacomo Manzù e, anche lui come Consagra, firmatario del manifesto di Forma1, dal cui stile si discostò presto. La sua visione plastica risponde all’idea di spazio come campo di forze simultanee e ricerca di movimenti che, negli anni Settanta, esprimono la natura instabile della forma
Durante la recente campagna di restauro la scultura fu accolta in una struttura dello stesso materiale che la nasconde e la accoglie in uno spazio sinuoso, in cui il rapporto del visitatore con l’opera diventa più intimo.
Per quanto la nasconda e destabilizzi chiunque guidando l’abbia sempre goduta anche guidando, si tratta di un restauro concordato con lo stesso artista, come avesse voluto implementarla o proteggerla.
L’opera è un sitespecific, legata quindi al luogo in cui è collocata: si tratta di un tornante che fa da incrocio tra la nuova strada provinciale, che va da Pettineo a Castel di Lucio, e la strada vecchia che passa per la campagna. La linea su cui si poggia vuol riprendere proprio la curva a gomito della strada…
La parte superiore, come una vela battuta dal vento, indica il movimento: la forma reagisce al passaggio dalla tradizione, indicata dalla direzione della “vela”, che è verso la strada più datata, alla modernità della nuova via provinciale.
Si configura nel territorio come un punto di riferimento che traduce in verticale sia fisicamente la curva di asfalto che la risposta ai cambiamenti , dettati dai tempi moderni che subisce il paesaggio, i quali provocano un’azione tale da plasmare la forma come fosse “mossa dal vento silenzioso che sale dal mare”.
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Il 30 gennaio 1988, contemporaneamente all’inaugurazione della scultura di Schiavocampo, venne indetto un concorso per giovani scultori under40. Le proposte sarebbero state esaminate da una giuria composta da direttori di grandi musei italiani ed europei: Manfred Fath del Mannheim, Héléne Vassalle della direzione dei musei francesi, Giovanni Joppolo, direttore a Parigi della rivista d’arte Opus intenational, Lucia Matino del PAC di Milano, il critico messinese Lucio Barbera, l’architetto Patrizia Merlino e anche due notissimi architetti catalani, Oriol Bohigas e Elisabeth Galí, grandi fautori dell’arte a Barcellona. Tutti i bozzetti furono in seguito portati a Roma dove, alla Galleria Giulia, fu allestita una mostra che destò grande curiosità e suscitò vivissimo interesse fra il numerosissimo pubblico e i critici, ma solo tre furono i progetti vincitori…
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Labirinto di Arianna Italo Lanfredini – 1989
Opera selezionata durante il concorso bandito da Antonio Presti nel 1988, occupa la cima della collina prospiciente Castel di Lucio, adattandosi alla sua naturale inclinazione. Si tratta di un percorso obbligato verso il suo centro che, avvolgendosi su se stesso, crea un labirinto.
Italo Lanfredini (1948), dapprima allievo di Somaini, poi insegnante di plastica al liceo, coniuga nel suo stile la cultura classica ed il tema della vita umana in armonia con l’ambiente. Le sue realizzazioni degli anni ’80 si distinguono per il dialogo che instaurano con chi le guarda: non più opere oggettive, ma che dialogano col luogo e la sua “aura”, opere da attraversare, da abitare, da vivere.
Si può dire che con questa scultura tocchi tre tematiche principali. La prima è quella mitologica: si ispira infatti al mito del filo di Arianna che aiutò Teseo a uscire dal labirinto abitato da Minotauro a Creta, evidenziando la fondamentale importanza della figura femminile.
La seconda tematica riguarda la procreazione. L’ingresso, infatti, è la stilizzazione di una vagina, dalla quale si accede per la fecondazione, raggiungendo il centro del labirinto, ed una volta formati percorrere il percorso al contrario per la nascita
Al suo centro, il fulcro del terzo tema: è un percorso obbligato, un labirinto concepito per ritrovarsi, non per perdersi, in cui ogni passo diventa un’occasione di meditazione che porta al compimento di un’esperienza. Il suo cuore è occupato da un albero di ulivo, simbolo greco di saggezza e sapienza.
Il monumento è diventato una delle maggiori attrattive dell’hinterland, insieme alla dirimpettaia piccola chiesa del paese. All’epoca della sua costruzione, il vescovo dell’arcidiocesi di Patti, avvertì questa prossimità come un oltraggio e, data l’allusione all’organo femminile, aveva ammonito i fedeli: visitare il labirinto sarebbe stato peccato!
La costruzione di cemento patinato, nonostante il suo acceso color carne, seguendo la sagoma della collina non impatta visivamente con l’ambiente che la circonda anzi ne vuol diventare tutt’uno come se fosse sempre esistita. “L’opera non deve essere mai in dissonanza con l’ambiente. Come non deve esserlo l’uomo”
Italo Lanfredini
Per un maggiore approfondimento su quest’opera leggi anche l’articolo che ho scritto per il sito di Origine Jewels al link qui sotto:
https://www.originestudio.net/blog/labirinto-di-arianna-di-italo-lanfredini
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Energia Mediterranea Antonio Di Palma – 1989
Tra le opere vincitrici del concorso bandito nel 1989 da Antonio Presti, Energia Mediterranea è un lenzuolo di cemento armato dipinto del colore tanto caro all’artista, il blu acceso.
Antonio Di Palma (1963) pittore e scultore italo-canadese, trova la sua chiave espressiva in installazioni ready made e interventi sul territorio. Il suo stile è informale, rifiuta qualsiasi forma figurativa o astratta, si ispira a grandi della tradizione pittorica come Duchamp, Kandinskij, Mondrian e Albers.
Come un gesto grafico, la superficie lunga 20 metri e alta 5, caratterizza il panorama di Motta D’Affermo, località d’altura in cui, grazie a questa installazione viene traslocata la brezza marina. Sottile e rigonfia simula il movimento una vela gonfiata dal vento, ricordando anche quello delle onde.
Un’opera che mostra con fierezza la sua essenzialità, una distesa di blu che rimanda al ritmo del mare, reso con uno spessore minimo che non impatta col territorio e che anzi richiama le curve del paesaggio circostante. Allo stesso tempo, però, si configura come un segno distinguibile del territorio, un luogo surreale in cui succede ciò che non potrebbe accadere, come lo scroscio della risacca ad alta quota.
Come la gran parte delle sculture del parco, anche questa è praticabile, ed in quanto tale, invita ad esser vissuta e cavalcata. Sotto alla curva di cemento armato, grossi e tondi ciottoli, proprio come quelli dei fondali della più vicina spiaggia di Tusa.
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Il terzo artista fu il più sfortunato, in quanto il gran numero di procedimenti giudiziari contro presti ne impedì la costruzione. Si tratta di Carlo Lauricella, del cui bozzetto ho inserito un’immagine nell’articolo precedente che vi consigliavo su. Fattore che blocca di fatto il completamento del parco, che avrebbe previsto anche la realizzazione di opere di grandi maestri come lo spagnolo Edoardo Chillida, Fausto Melotti e Arnaldo Pomodoro.
I lavori per la realizzazione del progetto dell’asiatico Hidetoshi Nagasawa erano invece riusciti ad avviarli contemporaneamente agli atri cantieri. Era un corso la creazione di un luogo mistico in cui l’artista ricreava un luogo unico in cui «ogni categoria e ordine abituale devono essere privi di senso, niente destra o sinistra, niente alto o basso. Ho concepito la stanza come un luogo del galleggiamento, come un viaggio in un universo indipendente»
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Stanza di Barca d’oro Hidetoshi Nagasawa – 1989
Un’opera mistica che allude all’esperienza precedente la nascita, si nasconde in una parete rocciosa nei pressi di Mistretta, sul fiume Romei, affluente del torrente di Santo Stefano di Camastra.
Hidetoshi Nagasawa (1940 – 2018) Dopo essersi qualificato come architetto in Giappone, decise di attraversare l’intera Asia in bicicletta. Proseguendo oltre il suo continente si ferma a Milano dove arriva nel 1968. Qui conosce Enrico Castellani, Mario Nigro e Luciano Fabro e trovandola sua identità artistica. Negli anni Ottanta, comincia a creare i primi ambienti, muovendosi sul confine tra scultura e architettura: l’idea della sospensione e il tentativo di creare opere antigravitazionali rappresentano il nucleo centrale del suo lavoro in questi anni.
Una camera ipogea rivestita di lastre metalliche, raggiungibile attraverso un corridoio di 35 metri, è occupata dalla sagoma di una chiglia rovesciata sospesa, ricoperta di foglia d’oro. Il suo albero maestro in marmo rosa, fa anche da pilastro al centro della stanza, come unione di terra e cielo.
Per quanto ne sia circondata, è completamente isolata dai suoni della natura immergendo l’imbarcazione in un silenzio spirituale, elemento integrante dell’opera stessa. Proprio per preservarne l’assenza di rumore, la stanza è stata concepita per rimanere chiusa per 100 anni, per esistere in questo frattempo solo nell'”energia mentale della memoria”.
Fu inaugurata il 24 giugno del 1989, giorno in cui fu anche posta sotto sequestro dalla pretura per abusivismo edilizio. Fu ordinato che non venisse sigillata come previsto purchè non fosse occultato “il corpo del reato”.
A processo terminato, con l’assoluzione di Antonio Presti, la camera fu chiusa finalmente il 16 giugno del 2000. Al sigillo fu allegato anche un testamento del mecenate, con il quale dichiara di voler riservare la fruizione dell’opera a chi sceglierà la bellezza in futuro, nega la presenza della politica che non ha voluto capire il valore della cultura in questo territorio e determina la fine della realizzazione di opere nel parco Fiumara d’arte.
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Alla fine la stanza riesce ad esser restituita alla terra, alla quale originariamente doveva esser donata, sepolta e coperta dalla boscaglia.
E mentre il silenzio regna sotto fogliame ed alberi, nuove iniziative vengono portate avanti: nello stesso anno viene terminata la decorazione in ceramica della caserma dei Carabinieri di Castel Di Lucio, ad opera di Piero Dorazio e Graziano Marini, Arethusa, inaugurata con una gran festa; due anni dopo, invece, una sciatta parete di contenimento sulla strada per Mistretta viene arricchito da autori vari di sculture a rilievo in terracotta trasformandosi nel Muro della Bellezza. Entrambe azioni queste mirate all’invita a contemplare una ragione estetica durante la fase progettuale di una struttura utile, atto a contrastare la sciatteria dell’architettura quotidiana. E nel quotidiano di un intero comune entrerà promuovendo la manifestazione Un Chilometro di tela ed inventandosi un museo domestico diffuso: con l’intento di coinvolgere i cittadini di Pettineo, il mecenate reinventa le estemporanee di pittura con un’iniziativa del 1991, incentrata proprio su questo tessuto pronto ad accogliere i lavori di oltre 200 artisti, noti e meno noti, distesa sulle strade del paese; al tramonto il supporto venne tagliato in pezzi, incorniciato e ospitato in casa dei cittadini. Ancora oggi accanto ai campanelli delle abitazioni in cui sono custoditi questi brani, vi è una targa di ceramica che illustra l’opera lì custodita, basterà suonare per godersela: così ogni casa diventa un “museo domestico”. La kermesse si ripeterà gli anni seguenti, sia Pettineo che in altri comuni isolani e italiani.
…Ma gli enti locali continuano a non accettare il dono di Fiumara d’arte, ed il parco col passare degli anni necessita di manutenzione. Abbandonato dalle istituzioni, nel 2005 Presti chiuse simbolicamente la finestra con un telo in segno di protesta, fin quando non gli fosse consentito di poter usufruire di alcuni fondi europei per il restauro.
Una volta ottenuti, i fondi europei ed il riconoscimento del corredo scultoreo come bene culturale, si verificò uno dei fatti più incredibili: lo stesso Antonio Presti che disse di no alla mafia, opponendosi alla quotidiana prassi della corruzione nel mondo degli appalti, si trovò a dover denunciare per questo reato e per il proporsi di aziende in cui vi era infiltrata cosa nostra. L’odore dei soldi facili ha attirato la bramosia della criminalità, mostrandosi sfacciata, come a voler annullare il motivo per cui tutto ciò fosse iniziato.Oltre che un valore come patrimonio della collettività e pezzo d’arte, ogni scultura oggi rappresenta un monito di contrasto imperterrito della criminalità.
Per anni dopo aver lottato tanto, non si mise mano a nessun cantiere per nuovi progetti, fin quando, a distanza di un decennio, venne realizzata l’opera di Mauro Staccioli, oggi fulcro della promozione delle attività culturali sul territorio, in quanto protagonista di un’imperdibile manifestazione annuale.
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Piramide del 38°parallelo Mauro Staccioli – 2010
Un tetraedro cavo in acciaio corten di 30 metri, domina la costa e alture su cui si trova Motta D’Affermo. La sua posizione indica il punto in cui l’immaginaria misurazione umana, incontra la materialità grazie a questo landmark che tocca il 38° parallelo.
Mauro Staccioli (1937-2018) Fin dagli anni ’70, cerca con la scultura di rispondere alle esigenze della società. Le forme essenziali e la perfetta adesione agli ambienti per i quali realizza le sue “sculture-intervento”, concedono all’artista la sua fama internazionale. Studiando gli ambienti, la storia e le caratteristiche dei luoghi nei quali è chiamato a realizzare un’opera, “segna” il luogo, sintetizzandone la sua natura e nello stesso tempo modificando la sua percezione.
Il materiale scelto interagisce con l’aria, ossidandosi, e col calore provocando suoni dovuti alla sua dilatazione e contrazione. Il suo orientamento ad ovest è stato accuratamente studiato purché ad ogni solstizio i raggi del sole calante penetrino attraverso una fessura posta alla congiunzione con 2 delle sue facce.
Per questo motivo ogni 21 giugno la Piramide è la grande protagonista del “Rito della luce”: tutt’intorno si svolge un festival in cui artisti di ogni disciplina e prevenienti da ogni parte del mondo possano esibirsi. Ogni anno Antonio Presti sceglie un tema su cui improntare la manifestazione, ma il must di ogni anno è il bianco, colore di cui si è anche invitati a vestirsi per parteciparvi.
Questa è anche l’unica occasione in cui è possibile visitarne l’interno, a cui si accede attraverso un tunnel cilindrico in metallo, per assistere a esibizioni e concerti.
https://www.originestudio.net/blog/piramide-38-parallelo
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