CAMIOLA TURINGA – La messinese che ribaltò la gerarchia dei valori sociali del medioevo

E’ ben nota la fierezza delle donne messinesi, combattive e orgogliose, spesso capaci di atti rivoluzionari che rompono gli schemi delle prassi che le vorrebbero relegate ad un ruolo marginale nella società. A portare il vessillo del nostro innato girl power io immagino proprio Camiola Turinga, elegante intraprendente, generosa…. Ma fessa no!

Camìola Turinga (o Comiola Turingia, o addirittura Camèola) è ricordata tra le storiche donne illustri grazie al tramandarsi della sua biografia riportata da molte fonti, tra cui Gli annali della città di Messina di Caio Domenico Gallo, del 1758, ma ancor prima, a renderla nota ci fu la sua citazione da parte di Giovanni Boccaccio tra le Mulieribus Claris del 1362. L’opera ricorda 106 donne che lasciarono il segno nella storia fino ai giorni n cui visse l’autore. La nostra protagonista, seguendo il rigoroso ordine cronologico si posiziona subito dopo Costanza D’Altavilla imperatrice, madre dello Stupor Mundi Federico II, e prima della regina Giovanna I di Napoli. In ottima compagnia direi.


Illustrazione da L’opera de messer Giovanni Boccaccio de mulieribus claris – 1506 – Tacuino del Collegio Romano dei Gesuiti

L’anno di nascita di Camiola, dovrebbe aggirarsi intorno al 1310, durante il regno di Federico III. Figlia del cavaliere Lorenzo Toringo, in ottimi rapporti con la corona, in età da marito si sposò con un ricco mercante senese. Tempo dopo, rimaste sola al mondo perdendo famiglia e marito nel fiore dei suoi anni, si rivelò una abile contabile, perfettamente in grado di gestire e far fruttare il patrimonio che aveva ereditato. Si dice di lei che fosse “splendida de corporea belleza: costui: magnificezia: & hoestade laudabile pudicitia e castitade: […] e visse casta con li parenti: e con lunicho marito”. Graziosa e intelligente, seppe controllare investimenti e commerci in uno scalo così trafficato come quello del porto di Messina.

Ma le cose cambiavano rapidamente in città. Nel 1337 morì Federico III, al quale successe il figlio primogenito Pietro II, considerato nel Regno di Napoli e dai nobili della Sicilia stessa un debole incapace di regnare. Le tensioni con gli angioini non si erano mai distese del tutto, infatti dalla pace di Caltabellotta, che pose fine alle guerre dei Vespri siciliani, i regnanti del sud Italia non aspettavano che il momento propizio per sferrare un attacco mirato alla riconquista dell’isola.Ritenuto arrivato, finalmente, il momento propizio, Roberto D’Angiò nel giugno del 1339 pose assedio alle isole Eolie, strategiche per posizione per altri più forti attacchi futuri alla costa sicula. Lipari e il suo castello, operarono una resistenza tenace da parte e rifiutano anche gli approvvigionamenti offerti dai nemici per la fedeltà al loro re. Gli occhi di tutta la penisola si puntarono su questa critica situazione, e storici e narratori si recarono in Sicilia proprio per poter raccontare questi avvenimenti; tra i curiosi anche Boccaccio, che fece gran scorta della nostra cultura e di alcune delle nostre storie.

A pochi giorni dalla resa agli occupanti, il 17 novembre, arrivò la flotta aragonese in aiuto ai liparoti comandata da Giovanni Chiaromonte e due fratelli del re Giovanni, marchese di Randazzo, e Orlando o Rolando d’Aragona, che Boccaccio stesso descrive come “figliolo bastardo del Re Federicho: homo forte del corpo: e giouie e bello de persona: e de viso”, ma di lui ci è noto anche il carattere spavaldo e irriverente nei confronti della corona. A causa di un errore di valutazione delle manovre delle navi nemiche, purtroppo la flotta inviata da Pietro II cade in mano degli Angioini così come l’arcipelago, e i nobili capitani, per i quali Roberto chiede un lauto riscatto. Il re accetterà di pagare la liberazione del fratello Giovanni  e per il Chiaromonte, lasciando Rolando in catene: Pietro rimproverava al fratellastro la sconfitta subita, a causa della una disobbedienza ad alcuni ordini che gli aveva impartito prima della partenza.

Qui entra in scena la nostra eroina, grata alla corona per i riguardi della sua famiglia in passato e affascinata dalla prestanza fisica di Rolando, si impietosì per le sorti del giovane e si propose di pagarne di tasca propria il riscatto. Nonostante la somma richiesta fosse pari a metà della sua ricchezza (2.000 o 4000 onze) senza battere occhio si dichiarò disposta a pagare purché una volta libero, l’ostaggio l’avesse sposata. Nella più assoluta trasparenza Camiola inviò dei notai a Napoli per proporre le condizioni a Rolando, che senza farselo ripetere due volte firmò i documenti dell’accordo.

Illustrazione di un codice miniato in cui Camiola paga il riscatto per Rolando

Camiola si espose molto nel proporsi come benefattrice, scardinando i sistemi sociali tipici del medioevo che vedono spesso la genti pulzella esser salvata dal messere dall’armatura lucente, lei assolutamente non curante di pregiudizi e convenevoli agì con spirito pratico.

Una volta liberato e tornato in Sicilia, Rolando negò di aver preso l’impegno di maritare la gentildonna, sottraendosi al suo dovere. Ormai abbiamo capito di che pasta sia Camiola, e senza arrendersi, carte alla mano lo trascinò davanti al Giudice Ecclesiastico. Davanti alle schiaccianti evidenze sfoderò l’unico alibi che avrebbe potuto giocarsi, quello della incorruttibile nobiltà del suo sangue:  seppur bastardo, la sua stirpe era quella reale e non si sarebbe mai abbassato ad unirsi con una donna di ordine equestre. Ma carta canta, e la giustizia depose in favore di Camiola. Rolando era obbligato a rispettare il patto.

Camiola Turinga – Luigi Stabile – Napoli – 1885

Immediatamente si danno disposizioni purché venga allestita la cerimonia nella quale Rolando chiederà la mano a Camiola. Lei si abbiglia di uno splendido abito matrimoniale e alla presenza dell’intera nobiltà cittadina… “usando un atto da vera eroina , dopo d’averlo rinfacciato d’uomo ingrato , e mancator di fede ed indegno del sangue de’ re aragonesi, che vantava di portar nelle vene, lo rifiutò, donandogli generosamente il prezzo che sborsato aveva per la di lui libertà, dandosi ella a più nobile Sposo”. Queste le parole di Caio Domenico Gallo.

Boccaccio invece riporta tre belle pagine abbondante di (passatemi il termine vi prego) sputtanamento pubblico che è davvero una delizia a leggerlo per tutti gli amanti delle vendette servite fredde

discoperta la tua ingratitudine: e che demostrasse la tua perfidia: e non solamente questo in detestatione de la sua pietade: ma anchora ho facto per questo mio caso: che per lo tempo adveniere li toi fratelli e molti altri possano vedere: quello che pote essere commesso a la tua fede: qllo che te sperare possono gli amici: e che temer e nimici.

io sciocchamente stimava per la fama de la terra havere liberato de le catene: e de la prigione uno illustregiovine: uno infidele: uno ganellone: uno traditor: &in humana belva. E non voglio tute stimi essere sa tanto: che tu creda tu solo havermi tracta & indocta insi facta cosa: ma mi mosse la memoria dei recevuti benefici del mio padre dal tuo genitore facti: si genitore foate il Re Federicho: laqual cosa pena credere posso: che de si celebre e nobile principe sia nato si infido e disonesto figliolo: extimasti indegna cosa che una vedova: non de sangue reale dovesse avere marito de sangue giovine: robusto: e bello de corpo e de viso: la quale cosa io confesso largamente. Ma veramente io voglio: che si tu voli: poi: o sai: me rispondi a ragione di quello io dico. Quado per farte mio pagai lamplo thesoro in tua libertade: ove era alhora il reale splendore: ove il tuo forte vigore: ove il viso fresco colore: per la obscura caligine dela prigione: ne laqle eri costrecto: erano coperte tute queste cose a la rugine: e pelo de le catene p lo fetore de la obscura carcere. Ne la quale impotente: in fermo: e tristo abandonato da tutti immarcivi: & infrangidavi nei ceppi: havevano queste dote: lequale te fano hora superbo & elato: per lequale tu te stesso in alzi: preso e messo a basso: alhora dicevi me degna: no solo de real giovine: ma de celeste idio.

E quella fortuna: e richeza: laquale me ha prestata: e concessa el fummo & omnipotente idio: lassero a più honesti heredi: che non sere bono quelli: i quali fusseno da te generati. Va dunque via infausto: e captivissimo giovine. E pero che te facesse a te indegno de haverme: impara a tue spese: con che arte: fallacie: beffe: e inganni altre femine: a me assai essere unaltra volta inganate da techo: ma fervare celebre e fancta vita: me pongo a Dio: e credo sia de gran lunga: meglio che venire i toi abraciamenti.

La “nobile “ reputazione di Rolando era ormai in brandelli, ogni persona del regno e del continte era al corrente ormai della completa assenza di onore di quel uomo. Camiola divenne simbolo di grande intraprendenza, ma anche di una forza che va oltre i pregiudizi di genere, la personificazione della tenacia e dell’amor proprio, perché, diciamocelo, non sarebbe stato comunque un matrimonio felice il loro!

Questo episodio venne raccontato per secoli in tutta Europa, tramandato in francese ed in inglese, si dice che abbia addirittura ispirato William Shakespeare nella scrittura di Troppo Rumore Per Nulla, ispirandogli la scena del rifiuto sull’altare di Claudio nei confronti di Ero. Sono stata felice di trovare anche tre versi di Alexander Pope, uno dei maggiori poeti britannici che visse tra il XVII ed il XVIII sec.

Resolution of Camiola Turinga

Wronged in my love, all proffers I disdain;

Deceived for once, I trust not kings again;

Ye have my answer – what remains to do!

Pochissime parole ma ricche di carattere!

Dopo questa avventura, Camiola decise di impiegare i propri averi nella costruzione di un monastero ai piedi della chiesa di Montalto, dedicò la sua vita a Dio prendendo i voti (“dandosi ella a più nobile Sposo“). Alla fine dei suoi giorni ricevette degna sepoltura presso la chiesa di San Francesco all’Immacolata.

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Per Approfondire:

http://www.archiviostoricoeoliano.it/wiki/la-battaglia-di-lipari-1339

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