Il tornado Covid19 nei Musei italiani – Bilancio post quarantena e Proposte per la riapertura

A metà fase 2 e con l’approssimarsi della fatidica data di riapertura di musei e biblioteche, vorrei fare un po’ il punto della situazione.

Ammettiamolo durante questi mesi appena passati siamo stati letteralmente sommersi di contenuti culturali in rete, così tanti da avere l’agenda piena di appuntamenti con dirette, flash mob e video corsi messi a disposizione dalla #solidarietàdigitale promossa dallo Stato.

Una valanga di contenuti è arrivata soprattutto da parte di musei e gallerie che avvertendo la minaccia dell’oblio con la chiusura dei cancelli si è scapicollata sul web per sbracciarsi tra la folla e “tenere compagnia” all’Italia costretta in casa.

A rimetterci in questa isteria digitale (calzante la definizione di Nicolette Mandarano), spesso sia stata la qualità degli stessi contenuti, e la linea si è marcata e rimarcata bene tra chi su internet ci stava già e tra chi ci si è precipitato rocambolescamente. Immancabili gli appuntamenti del Museo Egizio di Torino, le passeggiate con il direttore, interessanti gli approfondimenti del Maxxi che hanno coinvolto anche personaggi dello spettacolo nella spiegazione di opere della collezione permanente, simpaticissime animazioni del Turkish Museum, che lanciavano inviti al corretto comportamento in tempo di quarantena valorizzando preziosi pezzi archeologici.

Poi ci sono anche impieghi discutibili dei socialnetwork. Come saprete anche gli Uffizi hanno deciso di approdare su TikTok. Io ho solo una domanda: Perché? Perché scegliere di impiegare del tempo per ritagliare e copiare come figurine le immagini di una delle collezioni più illustri del mondo, per incollarle su meme logori, pur di arrivare alla generazione z? Quali contenuti sono stati comunicati così? Li avete presi per scemi sti millennails?

Eh vabbè, ma su Tik Tok che vuoi fare?  

Qualcosa di meglio si può sempre fare(chiedetelo a Giusy Vena, su instagram @less.is.art)

No, le visite virtuali non mi piacciono, non mi piacevano nemmeno prima eh! Recarsi ad una mostra significa vivere un’esperienza, e per quanto questi video o immagini curve male assemblate possano avere un valore illustrativo, ritengo non sia il caso di chiamarle visite3d o experiences.

Eh vabbè, ma sei pur sempre davanti a  un computer…Che ci vuoi fare?

Qualcosa di meglio si può sempre fare.

Poi c’è stato chi non aveva mai nemmeno pensato di far entrare un pc dentro le sale del museo, che si improvvisa montatore video, si magari lo stesso direttore, che per non esser da meno legge nozioni dai manuali facendo scorrere fotografie, o apre i profili social dell’ente proprio in questo periodo e farcendoli di post senza didascalia, hashtag e una ragione di esistere, non rendendosi conto che in questo modo non giova di certo all’immagine del suo museo. Non ho idea del carico di lavoro che possa comportare l’apertura alla pubblica fruizione, al personale d’ufficio di queste strutture, ma davvero vi è impossibile conciliare accesso e web, anziché accorgervi solo adesso del modo on-line?

–Eh vabbè ma ci han messo buona volontà…

Qualcosa di meglio si può sempre fare.

E poi ci sono stati musei, in cui nulla si muoveva in tempi di pace e nulla si è mosso in questi due mesi. Loro per me hanno perso in partenza.

–E vabbè…

No, basta! QUALCOSA di meglio SI DEVE FARE!

Ora lo spauracchio più grande delle amministrazioni museali non sono le misure igieniche di sicurezza obbligatorie, ma il fatto che la data del 18 maggio non coincida con l’apertura delle frontiere regionali e nazionali, quindi tocca “sperare” nel visitatore locale per far cassa al botteghino. Così tanto abituati a cullarsi su di un pubblico mordi e fuggi, spesso straniero e/o colto ed esperto, l’idea di rivolgersi al visitatore locale, avvilisce i dirigenti di strette vedute.

I turisti italiani sono sempre i più rompi scatole” questo è il parere diffuso tra la gran parte dei professionisti del settore ricettivo “quelli che non si accontentano di imparare a cucinare un piatto locale, ma che ti obbligano ad approfondire”. Considerati gli avventori della prima domenica del mese, i fruitori locali non sono mai stati “invitati” prender parte alla gestione dei loro beni culturali con un questionario che lasciasse spazio alle loro idee. E si, perché dipinti, sculture, manoscritti e anche quei volumi polverosi che ci stanno in biblioteca sono nostri, di ognuno di noi! I musei hanno il dovere di divulgare la nostra cultura.

Durante questa quarantena, ho volontariamente voluto creare su instagram uno storiestour del Museo Regionale di Messina (data la sua totale immobilità web), che accennasse piccole nozioni delle principali opere della collezione cercando di mettere in risalto anche gli spazi e l’allestimento. I feedback che ho ricevuto sono stati pieni di entusiasmo, tante persone sono state felici di saperne un po’ di più del loro passato e di conoscere, nel caso di non messinesi, dell’esistenza di beni così alto valore, e mi ha fatto un gran piacere. Per dare un’immagine più smart del museo non ci voleva poi tanto…

E se la chiave per la ripartenza fosse proprio questa? E se è stimolando l’orgoglio campanilistico si innescasse un vero e proprio circuito pubblicitario efficiente? Mi spiego meglio.

Mi ricollego allora ad un seminario che ho ascoltato in questi giorni (L’innovazione nel settore cultura – RE:HUMANIZE! Curato da Alan Advantage) in cui si affrontava proprio questa criticità in cerca di una soluzione efficace. Se un dato ente non trasmette efficacemente in primis a chi conosce ed è legato a quel patrimonio, può avere tutti i tesori di questo mondo al suo interno ma non riuscirà mai a richiamare anche chi quel territorio non lo conosce.

Aprirsi alla popolazione geografica di appartenenza non è un handicap, anzi, permetterà ingressi ciclici se si è in grado di fidelizzare il visitatore, attraverso la proposta di percorsi tematici differenziati, visite guidate con esperti di settore, eventi che coinvolgano altri rami artistici come concerti e proiezioni, o anche uscire dal proprio perimetro e promuovere quella data pala d’altare nella chiesa di provenienza davanti alla comunità parrocchiale e di quartiere… Così, per buttare giù un paio di idee.

Partire dal territorio per accogliere chi il territorio lo vive, può essere il fattore scatenante della più incontrollabile branca del marketing pubblicitario: il passaparola.

Chi vivrà una buona esperienza di visita, chi si lascerà cullare da uno storytelling ben fatto che affondi le sue radici in tradizioni ed eventi darà senza dubbio un ottimo riscontro sui social (aspetto che al giorno d’oggi non può più essere ignorato). E perché non invitare a postare con uno specifico hashtag per creare piccoli contest settimanali e mantenere saldo il rapporto con una persona che una volta uscita dal museo non avrebbe alcun interesse a ritornare?

Io non sono (ancora) un’addetta ai lavori, ma credo che la creatività in questo campo paghi sempre. Dice bene la direttrice di Galleria Colonna a Roma, Patrizia Piergiovanni, che afferma ad ogni suo intervento “questo è un lavoro di passione!” ed è grazie a questa che si riesce ad incontrare il pubblico.

Se questo articolo vi è piaciuto talmente tanto da arrivare a leggere queste ultime righe, lasciatemi un commento nel caso vi interessi un approfondimento. Vi ricordo inoltre che potrete seguirmi su instagram e facebook e se mi riterrete meritevole del vostro sostegno, potrete offrirmi un cappuccino su Ko-fi . A presto!

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