Ogni capolavoro deve fare i conti con la sua materia, lo sanno bene i restauratori che ogni giorno sono alle prese con salvataggi delicatissimi e nuove scoperte date allo studio della componente fisica e chimica che ha permesso alla opera di arrivare fino a noi. Ma l’opera d’arte è quindi solo un oggetto? Vi spiego meglio il perché mi sia posta questa domanda.
A Palermo una piccolissima mostra, allestita grazie alla collaborazione tra l’associazione Amici dei Musei Siciliani, Le Vie dei Tesori e Sky Arte, nasce nell’ambito delle manifestazioni svoltesi nel capoluogo siciliano in occasione del 50° anniversario del furto della Natività con Santi di Caravaggio dall’Oratorio di San Lorenzo. Il dipinto ha lasciato un enorme vuoto nel panorama culturale nazionale, tale da indurre la creazione del nucleo di tutela dei Beni Culturali dei Carabinieri. Un’assenza che si è coperta di misteri, omertà e false testimonianze di pentiti mafiosi, così contraddittori che ancora oggi non si ha più certezza della sua esistenza o della sua brutale distruzione.
In una Palermo amputata, nasce “Il ritorno dei capolavori perduti”, esposizione che ospita dipinti inesitenti. No, non ho le allucinazioni.

L’arte nasce con il genere umano e con esso deve purtroppo fare i conti: nel corso dello scorso secolo numerosi pezzi di artisti internazionali di chiara fama, sono stati distrutti, rubati, dispersi. E’ la storia di Medicina di Gustav Klimt, finito tra le fiamme del castello austriaco di Immendorf durante la fuga dei nazisti, del Concerto a tre di Jan Vermeer rubato dalla collezione Stewart- Gardner di Boston o del ritratto di Churchil di Graham Sutherland così realistico che l’uomo di stato lo trovò offensivo, tanto da decidere di nasconderlo in una tenuta di campagna in cui poi lo fece ardere. Nessuno di coloro che arrecarono questi danni pensò minimamente a chi ci sarebbe stato dopo di loro, alla memoria custodita in un esemplare di arte visiva applicata, ognuno di loro, ladri, soldati o permalosi statisti hanno agito noncuranti di quanto avremmo perso.

In mostra non troverete delle foto e dei noiosi pannelli da leggere distrattamente, ma vi troverete i dipinti veri e propri. Copie? No, qualcosa di più che delle copie.

In questa occasione ho avuto modo di conoscere una realtà come Factum Arte, una società con sede a Madrid che si occupa dell’applicazione delle più moderne tecnologie nel campo artistico, la stessa che ha elaborato un perfetto clone del Merrisi rubato oggi esposto nell’oratorio. Oltre ad aver messo un cerotto alla ferita palermitana ha recuperato la memoria di quadri di Monet, De Lempicka, Marc e Van Gogh. Attraverso la storia documenta di opere scomparse delle quali restano solo foto e documenti, con lo studio della tecnica degli artisti, dei loro cambiamenti tecnici, della chimica dei colori utilizzati in altri pezzi, e l’analisi delle circostanze in cui fu realizzata, il dipinto vittima degli eventi viene ricreato, con altissima fedeltà di stile e composizione. Incrociando questi fattori, l’equipe di Factum Arte riesce a far rinascere quel che ormai non è più possibile ammirare, restituendo dignità all’impegno dell’artista. Nonostante si sia coscienti si tratti di elaborazioni grafiche, la sensazione è proprio quella di trovarsi davanti ad un’opera autentica, probabilmente anche grazie all’attenzione che è stata data allo spessore delle pennellate ed agli espedienti prospettici e tridimensionali in uso da ogni autore: così da ciò che rimase delle Ninfee di Monet, illeggibili a causa di un incendio, ne è stato estratto un plastico materico, e ad ogni stop del pennello un’altezza, ogni trascinamento una scia, non potendone riportare con fedeltà i colori autentici è stato realizzato in bianco, tono che a luce radente lascia risaltare questo aspetto del modus operandi dell’impressionista.

Come anticipavo la mostra è piccola, vi si accede dall’ingresso a fianco del principale della Galleria Regionale di Palazzo Abatellis, ha un carattere puramente didattico, che sfrutta abilmente il fattore storytelling per sensibilizzare al rispetto delle arti visive come sinonimo di memoria ed espressione. Il costo di 6 euro è facilmente riducibile a 3 nel caso in cui abbiate, visitato durante il festival Le vie dei tesori, almeno uno dei monumenti aperti in una qualsiasi delle città siciliane aderenti. Vi verrà consegnata un’ audio-guida che vi immergerà nel vissuto dell’artista in relazione al dipinto ed esporrà l’esecuzione del complicato studio eseguito a monte della sua riproduzione. Infine è possibile visionare un documentario prodotto da SkyArte, sull’attività della società madrilena nel dettaglio. Ho apprezzato l’iniziativa, per la sua utilità, per la magia avveniristica e per l’illuminazione professionale degna di opere autografe.
Oggi attraverso bozzetti, materiale fotografico e descrizioni, è possibile recuperare l’idea che Klimt aveva del volto di Igea, l’accuratezza ritrattistica di Sutherland, la voglia di sperimentare accostamenti audaci di colori di Van Gogh, non li abbiamo perduti. Osservando questi esemplari saremo comunque coscienti del fatto che né Tamara, né Franz li abbiano mai toccati, ma costituisce un valido riscatto per ciò che ci è stato negato, come se l’arte si spogliasse della sua prigione fisica per vestire i panni del nume della memoria, testimone di bellezza.
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