Sembrano volare. Nella notte, percorrendo la statale i templi sembrano sospesi a mezz’aria. E’ solo il preludio dell’atmosfera della Valle dei Templi ad Agrigento, dove è naturale restare sospesi, nel tempo e nelle parole, inevitabilmente le frasi restano sospese
“dopo tutti questi secoli….”
lasciando lo spazio alla meraviglia. L’immancabile brezza ci accompagna per tutto il lungo percorso, spettinando i capelli e addolcendo i passi purché non pesino troppo su questa terra custode di segreti e memoria.
Costruzioni imponenti e severe ma che, sapendole osservare, tradiscono la mano umana che le ha progettate e costruite. Senza dubbio la luce del tramonto ne amplifica la poesia, accarezzando con le ombre lunghe le superfici ruvide, creando contrasti su toni oro.

Il tempio di Hera/Giunone sfila con tutte le sue colonne in riga con l’eleganza e la fierezza proprie della dea. Lo sguardo corre verso il prossimo santuario, quello detto della Concordia dietro il quale sta andando a nascondersi il sole, svetta sulla prossima cima, apparentemente poco distante da questa. Lungo la via sacra il paesaggio è incorniciato dalle antiche mura della città caratterizzate dagli arcosoli, sepolture dall’apertura ad arco scavate nei blocchi di roccia, che a volte creano suggestive finestre sulla valle sottostante e su quella strada statale con vista che ho percorso la sera prima.

Camminando resto piacevolmente sorpresa nell’incontrare una coppia di sculture togate di epoca romana rinvenute nel vicino tempio imperiale nel 2005: la scelta di esporle in un tratto del percorso che non era interessato da altre attrattive di pregio l’ho molto apprezzata, sia per la giustapposizione sia per la creazione di una congiunzione temporale tra V secolo a. C. e il I d. C.

Tutto intono alberi da frutto, mandorli per lo più, creano esili ombre sul Giardino dei giusti del mondo: un installazione di basse lastre metalliche trapezoidali, recanti a caratteri forati nome e cognome di uomini e donne martiri per una nobile causa. Qui alla stregua di Paolo Borsellino e della sua scorta, si può trovare anche il nome di Khaled Al-Assad, l’illustre archeologo che fu ucciso per aver dedicato la propria vita al sito archeologico di Palmira. La figura dell’uomo, con la sua natura imperfetta, capace di abomini quale l’uccisione di un suo simile, sembra così sproporzionata rispetto all’imponenza delle opere che abitano la Valle, si ha la percezione che siano state realizzate da giganti.
A farci ritornare ad apprezzare invece l’ingegno umano, disseminati tra le antiche rovine, ci si imbatte in modelli, scala 1:1 delle macchine di cantiere che resero i semplici umani dei giganti capaci di estrarre, trasportare, scolpire e posizionare enormi blocchi di tufo. Si tratta di un’esposizione temporanea dal titolo Costruire per gli dei. Macchine da cantiere perfettamente funzionanti, ricostruite attraverso dagli studi sulla tecnologia edilizia di epoca classica. Dei cunei lignei in una fenditura della roccia di mostrano come venivano estratti i grandi massi da costruzione, dei gioghi al quale venivano attaccati animali da traino spiegano come gli enormi rocchi delle colonne arrivassero fin lì, argani collegati a sistemi di carrucole per sollevare e posizionare pietra per pietra, tutto corredato da pannelli illustrativi ed illustrati, chiari e alla portata di ogni curioso.
Le grafiche e le fotografie sono invece curate da Francesco Ferla, che riesce a cavar dalla pietra ogni atomo mistico raffreddando la gialla calcarenite fino a farla somigliare al color del cielo habitat degli dei; scorci che non temono la potenza dell’ombra e la luce ma che anzi cercano questo contrasto tra terreno e mistico. Così tra la meraviglia dell’imponenza dei templi greci e la curiosità di chi si chiede “ma come hanno fatto?” si frappone questa mostra di macchine che fa di un luogo sacro un cantiere. L’incompiuto tempio di Zeus sembra esser stato fino a ieri la scena degli scricchiolii delle ruote di quei carri e del cigolare di quegli ingranaggi, è il vero cantiere di un tempio arrivato fino a noi mostrando i segni dell’uso di quegli strumenti sulle pietre originali, i segni delle corde di quegli argani, le sbozzature di scanalature e capitelli. Una mostra didattica, in collaborazione con MondoMostre e CoopCulture, realizzata con criterio, si basa sugli scritti del romano Vitruvio che ci ha tramandato ogni tecnica costruttiva conosciuta fino al I secolo, elogiando e citando il genio degli architetti greci Chersifrone e Metagene. Viene dato anche spazio all’importanza dell’evoluzione dello stile architetttonico dorico, mostrandone le origini attraverso un modello ligneo del progenitore del tempio in pietra, narrando lo stretto legame tra tecnica e stile: è quindi così possibile motivare la presenza di elementi architettonici decorativi che, nel passato stadio di questi edifici, erano necessari alla stabilità dell’edificio: le guttae presenti sotto i triglifi del fregio, ad esempio, non sono altro che l’evoluzione di dei chiodi che servivano a fissare le travi portanti! La mostra delle macchine da costruzione resterà presso la Valle dei Templi almeno fino al 30 di Novembre, ma a differenza di ciò che i comunicati stampa diffondono la sezione distaccata presso il Museo Archeologico Pietro Griffo (sul quale farò un altro articolo), che avrebbe dovuto ospitare attrezzi di lavoro originali, non esiste già da qualche settimana, e se sia esistita prima che lo visitassi io, non ne ho trovato alcuna traccia.
Prima che cali la notte sui templi ho cercato l’oscurità sotto terra: la necropoli paleocristiana si snoda sotto i piedi di ogni turista ignaro, passando sotto le antiche mura di cinta della città e occupando cisterne, condotti e depositi di grano. Il numero di sepolture è così alto che sembra siano enormi tessere di un mosaico incastrate perfettamente l’una con l’altra. La nostra ottima accompagnatrice, l’archeologa Simona, ci racconta che i luoghi della morte erano anche luoghi di convivialità sacra, di rispetto e di memoria ma mai deserti, non lugubri ma solenni.
Catacombe Catacombe Catacombe Catacombe Catacombe
Una volta sceso il sole, torniamo a veder le stelle dal giardino di Villa Aura, e tra le siepi di aromi mediterranei scorgiamo gli oculi che dal sotto suolo incorniciavano i colori del cielo al tramonto poco prima.
Sono le 20:30 ormai e fianco dell’Icaro di Mitoraj ora il Tempio della Concordia risplende sullo sfondo del firmamento. Simona si sofferma ancora un po’ a raccontarci della strana dedica del tempio, apparentemente non legata ad una precisa divinità, ci racconta i dettagli dello studio che ha sfatato un falso mito, della trasformazione in basilica in epoca cristiana e delle leggende che vi sono ambientate.

Le illuminazioni suggestive trasformano il paesaggio, evidenziando i pezzi forti e acuendo contorni e dimensioni. Così è anche al tempio di Ercole in cui i rocchi ancora riversi in terra ti viene voglia di abbracciarli.
Tempio di Eracle – Agrigento
Giove, Castore e Polluce chiudono il percorso ai margini dei recuperati giardini della Kolymbetra, meraviglia dell’ingegneria idraulica e agricola, di cui ancora oggi posiamo godere canale per canale, nel pieno rispetto e recupero del paesaggio originario, grazie al FAI (Fondo Ambiente Italiano) .
In 1300 ettari quel che non manca è il ritmo con il quale è stata modulata la fruizione, che lascia viaggiare attraverso i secoli toccando quattro diverse religioni, mantenendo l’interesse sempre alto, senza lasciar spazio alla noia e stimolando continuamente il desiderio di conoscere.
Se questo articolo vi è piaciuto talmente tanto da arrivare a leggere queste ultime righe, lasciatemi un commento nel caso vi interessi un approfondimento. Vi ricordo inoltre che potrete seguirmi su instagram e facebook e se mi riterrete meritevole del vostro sostegno, potrete offrirmi un cappuccino su Ko-fi . A presto!
Un pensiero su “COSTRUIRE PER GLI DEI – Il Parco della Valle dei Templi ad Agrigento”