Mata e Grifone – PARTE II: MATA

Fortunatamente sono riuscita ad incuriosirvi senza incontrare la vostra ostilità, e il fatto che abbiate anche voi riconosciuto qualche nota stonata in tutta questa faccenda mi fa sentire meno mitomane.

Vorrei inoltre precisare che le informazioni che vi sto riportando le ho trovate in libri che ho reperito come open source su internet, pagine di approfondimento su argomenti collaterali e manuali universitari che per i miei studi mi sono trovata a casa. Con ciò intendo stimolarvi al dubbio e alla curiosità: chiunque mosso da sano senso critico, può approfondire con cognizione di causa alcune ipotesi senza dover pendere dalle labbra di chi azzarda ipotesi spacciandole per verità assoluta. E fidatevi, non è complicato riconoscere le fonti autorevoli e scientifiche da quelle fantasiose ed infondate, quindi ponetevi delle domande, le risposte esistono, sta a voi capire quanto a fondo alla faccenda vogliate arrivare, e quindi passare dalle pagine internet a i tomi in biblioteca, i viaggi di indagine ed il confronto con gli studiosi.

Torniamo a noi. Per poter studiare le origini di Mata e Grifone ho dovuto inevitabilmente approfondire le mie conoscenze sulla tradizione del Ferragosto messinese, dato che fonti del XVII secolo riportano per Vara, Giganti e Cammello  un unico giorno di sfilata, il 15 agosto, e mi accorgo che le storie della celebrazione sacra e quella profane finiscono per intrecciarsi molto più di quanto sospettassi.

Come un faro sulla mia rotta, ho trovato un saggio di Giuseppe Giorgianni, “La festa della Madonna Assunta a Messina” pubblicato al numero 68 dell’Archivio Storico Messinese, che ha razionalizzato in un unico scritto tutte le fonti che descrivevano la ricorrenza, dal 1282 in poi, e ha seguito come Policino le tracce lasciate da quelle antiche parole. Inevitabilmente, anche Giorgianni ha rilevato numerosissimi punti di contrasto: il silenzio di Maurolico sulla gigantessa; la trasformazione iconografica della Vara che in precedenza aveva ben altra funzione; il rapporto subordinato dell’uomo sulla donna; la strana scelta di far indossare la corona alla regina e non al re fondatore, che invece fino al XVI sec portava sul capo una colomba; il contrasto tra fiori e lancia nelle mani di Mata… Con raziocinio e logica, citando maniacalmente le fonti, crea un quadro cronologico della città in relazione dalla prima festa di Ferragosto della quale si ha notizia in poi. E finalmente torno a rivederci più chiaro.

Preferirei comunque continuare a ad affrontare con voi questo approfondimento gradualmente, per riuscire a rispondere ad ogni “domanda che sorge spontanea” (cit.) senza però confondervi. Oggi mi concentrerò sulla figura di Mata.

Mata

Da qualche anno ormai la sua cavalcatura è bianca anziché a contrasto come la ricordano i nostri genitori, sfoggia uno sguardo fiero ed una postura eretta come fosse sull’attenti a mostrar le sue grazie. Il mantello rosso fermato sulle spalle, copre anche il posteriore del cavallo e fa a contrasto con il corpetto scollato blu decorato con girali vegetali oro, che ricorda il pettorale di un armatura, fermato in vita da una cinta che regge una provocante minigonna bianca. Una principessa Xena sicula in tenuta da guerriera. Tra i capelli fiori e un diadema turrito, a simboleggiare lo stemma della città. Nella mano sinistra una mazzo di fiori ad onorare la sua femminilità, sulla sinistra una lancia dorata. Sandali alla schiava ornati da un mascherone a riecheggiar tempi antichi.

Mata

Sembra che la prima ricorrenza estiva in città, celebrata con la sfilata di una donna guerriera a cavallo risalga a fine del XIII secolo, quando la città riuscì a resistere all’assedio degli angioini e respingerne l’ennesimo dei numerosi attacchi. Durante la Guerra del Vespro, tantissime sono le storie che confermano l’eroica resistenza della città, supportata dalle donne di Messina, tra cui Dina e Clarenza che non si risparmiarono nella difesa dei bastioni, e la comparsa nel cielo della famigerata Dama Bianca, che comunemente è identificata con la Vergine Maria. A fianco dei peloritani nelle battaglie più aspre, appariva a mezz’aria questa figura luminosa nel cielo, che rinviava al mittente i dardi che le venivano scagliati contro e spaventava i soldati più pavidi. L’azione offensiva francese più pericolosa per la città fu operata proprio il 15 d’agosto nel 1282, in quanto il nemico contava sulla distrazione dei messinesi riuniti in Cattedrale a santificare la festa dell’Assunzione. Fu grazie ad un’altra apparizione della Dama Bianca che la città riuscì a resistere ancora.

L’anno seguente, per rendere grazie alla Madonna, dai luoghi della battaglia (il colle della Capperrina, dove oggi sorge il Santuario di Montalto) fino al Duomo, si portò in processione il suo simulacro come Vergine guerriera a cavallo, coronata delle tre torri simbolo della città. La processione si concludeva al duomo dove, simulando che il portale della cattedrale fosse l’ingresso del paradiso, si inscenava l’Assunzione nel regno dei cieli.

“Una Madonna guerriera?!?! Ma va’!”

Ne sono rimasta sorpresa anch’io, ma mi è bastato parlarne con un’amica per scoprire che nella Sicilia meridionale ci fosse una tradizione molto simile. Digito su google e trovo una “collega” a Scicli, la Madonna delle Milizie. E’ l’unico esempio di Madonna armata accettata dalla Chiesa, la cui immagine la ritrae a cavallo, vestita di bianco rosso e blu, e impegnata in prima linea contro l’assalto saraceno nella Sicilia meridionale. La leggenda narra che nel 1091, nella piana di Donnalucata, stavano per sbarcare i mori che volevano riscattare i tributi sull’isola, facendola in barba ai già presenti normanni di Ruggero d’Altavilla. A loro difesa gli isolani invocarono l’aiuto di Maria, che apparve su un cavallo bianco in veste di gloriosa guerriera, sconfiggendo così gli invasori. Si tratta comunque di un mito, anche questo dalle oscure origini, riportato in auge durante il XVI sec., periodo di scorrerie dei pirati turchi, ma che comunque testimonia la diffusione di un’iconografia mariana così particolare e del suo legame con la gente del Conte Ruggero. Questa storia del ragusano giustificherebbe dunque l’anacronistico collegamento con questo sovrano che si è usato tramandare fino a noi.

Madonna delle Milizie, Scicli

Fin ad ora chi di voi si era chiesto il perché Mata portasse una lancia in mano? Non si addice proprio ad una nobile pulzella direi…

A ferragosto, dunque, si svolgeva questa processione sacra che volutamente appariva come una parata celebrativa di un esercito vittorioso: Maria/Mata nella processione del ferragosto era seguita dal mitico fondatore Messano, scuro e con una colomba sul capo (di cui parleremo in seguito), un cammello o altri animali da soma con trofei di guerra e il carro allegorico bellico della vittoria sugli angioini. Gradualmente su quel carro bellico troverà, invece, posto la rappresentazione della Dormitio Virginis, trasformandosi nella Vara. Dato che, nelle processioni dal XIV sec. il simulacro religioso cambia forma, dal cavallo al rimorchio, lasciando privo di significato il soggetto equestre femminile, gradualmente si assiste alla sua sparizione lasciando, a titolo evocativo dell’orgoglio cittadino, solo il gigante moro.

Durante gli ultimi anni del 1400, in pieno umanesimo rinascimentale, com’è noto si torna ad interessarsi degli scritti classici, in particolare a Messina, il colto Costantino Lascaris si attornia di sapienti per indagare le origini della città cercandone nobili discendenze. È il periodo in cui fasti e ostentazioni di nobiltà avvaloravano l’importanza politica del capoluogo (ve l’ho accennato nell’articolo precedente). Si riportano in auge quindi tutti i simboli cittadini cercando di ricollegarli alla nobile stirpe troiana, gens genitrice della quale si vantava perfino Roma, o alla discendenza delle antiche famiglie bibliche. Lo studio delle medaglie e del passato della città porta a recuperare la figura della gigantessa (della quale si ha notizia documentata il 25 maggio del 1547) ma, essendo il suo significante sacro ormai completamente assorbito dalla Vara dell’Assunzione… mo sta tizia qui chi è? Che significato avrebbe?

Avete presente Cibele? Secondo la Treccani…

Cibele (gr. Κυβέλη, lat. Cybĕle) Divinità identificata con la Grande Madre, dal 2° millennio a.C. oggetto di culto nel mondo antico a partire da una vasta area dell’Asia Minore, poi in Grecia e in Occidente

Gran Madre” e protettrice delle città il cui attributo tipico era proprio una corona turrita. Divinità originaria ed identificativa dell’antica Frigia, area dell’attuale Turchia, che in tempi omerici supportò Troia nella sua leggendaria guerra. Sul fatto che anticamente la si venerava con riti orgiastici ed autoevirazione Lascaris e gli amici devono aver sorvolato. Continua l’enciclopedia…

Statua marmorea di Cibele che indossa il polos sul capo, da Nicea, Musei archeologici di Istanbul

“Augusto riedificò, nell’anno 3 d. C., il tempio della dea ch’era stato distrutto da un incendio e rese più magnifico il culto della Gran Madre Idea, da lui riguardata come la rappresentante della patria troiana della sua gente.”

“C. soprintendeva alla fertilità della terra e insieme era la sovrana della natura vergine e incontaminata (in questa sua qualità era la ‘Signora delle belve’, collegata soprattutto con il leone)”

“Allooooora… Fertilità e verginità ci sono… il collegamento con troia c’è, un paio di teste di leone ce l’abbiamo pure sul gigante nero… ok facciamo che è Cibele!” …deve esser andata più o meno così.

Nel 1724, Francesco Susinno nel suo “Le vite dè pittori messinesi” descrive un dipinto del 1636, purtroppo oggi perduto, del caravaggesco Alonzo Rodriguez, raffigurante i giganti Cam e Rea… “ma come Cam e Rea?!”

Riacchiapiamo il lemma dell’enciclopedia on line

“Un’altra Dea Madre conoscevano i Greci: quella delle genti pregreche di Creta passata nella religione greca col nome di Rea. La confusione delle due dee (facilitata anche dall’identità del nome di due rispettivi luoghi di culto: il M. Ida dell’isola di Creta e il M. Ida della regione di Troia) compare per la prima volta nei tragici […] e divenne via via sempre più frequente; ma ad una completa identificazione e sovrapposizione delle due divinità non si arrivò mai: in molte parti della Grecia, come ad Atene, in Arcadia, in Olimpia, i due culti coesistevano paralleli e distinti.”

Invece, caro Signor Treccani, qui siamo riusciti a fare la frittata!

[Rea]Essa s’identifica con la Terra madre, e di questa ha gli attributi essenziali a cominciare dalle statuette egee: seni sporgenti, serpente, animale ctonico per eccellenza, atteggiamento dominatore quale si rileva dalle gemme dove R. appare gradiente su le montagne fiancheggiata da leoni e da altre figure umane o animali in atto di adorazione.

Cibele o Rea che dir si voglia, è comunque una divinità dominante e fiera, degna di esser rispettata dal re fondatore, legata alla terra e venerata per la sua purezza e verginità, caratteristiche trasportate anche nel profilo caratteriale della più moderna Mata, che riesce comunque a dominare la bestia della violenza del saraceno, che anche iconograficamente viene rievocata con diversi attributi leonini (l’elsa della scimitarra e le fibbie che reggono il mantello del moro).

Come anticipato nell’articolo precedente, i nomi che tutt’oggi utilizziamo, a Messina e nei paesi calabri nei quali questo mito è stato esportato, per identificare i due enormi sposi compariranno solo con gli scritti dei viaggiatori europei che per consolidare la loro cultura, viaggiarono fino al sud Italia. E’ il caso di Jean-Pierre Houël, che fece del suo gran tour una raccolta di opere d’arte (decine di paesaggi ad acquerello corredano il suo diario di viaggio del 1770), e di Jean-Claude Richard de Saint-Non, un abate che raccolse la sua esperienza in Italia meridionale in Voyage pittoresque ou Description des Royaumes de Naples et de Sicile, dove riporta resoconti e descrizioni da lui trascritte tra il 1781 e il 1786. Era consuetudine che i viaggiatori stranieri si affidassero a guide locali per orientarsi, affidandosi a loro per scorgere le località più suggestive e conoscerne le tradizioni. E’ quindi attraverso uno di questi ciceroni che i due francesi devono aver appreso i nomi Mata e Grifone. Probabilmente erano chiamati comunemente così dal popolo, battesimo sicuramente non approvato dalla classe colta della città.

Ok, fin qui siam riusciti a rispondere a: perché ci sia stato infilato nel mito il normanno Ruggero, perché il ferragosto a Messina sia così speciale nonostante la nostra patrona non sia la l’Assunta ma la Madonna della Lettera, perché la donna preceda l’uomo in questo corteo…

Vi ricordo che altrettanti quesiti restano irrisolti sulla valenza simbolica del cammello, sulla figura di Grifone, sul rapporto che i giganti abbiano con tanti toponimi in città. Continuate a seguirmi per provare a dissipare altre nebbie e, nel caso non sia stata sufficientemente cristallina in qualche passaggio, non esitate a chiedermi qualche chiarimento. Alla prossima puntata! 😉

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Sitografia e bibliografia:

http://www.comune.scicli.rg.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/3329

https://www.ragusanews.com/2013/06/02/cultura/la-forza-dolce-della-madonna-guerriera-di-scicli/31995

http://www.treccani.it/enciclopedia/cibele_%28Enciclopedia-Italiana%29/

http://www.treccani.it/enciclopedia/cibele/

http://www.treccani.it/enciclopedia/rea_%28Enciclopedia-Italiana%29/

http://www.societamessinesedistoriapatria.it/archiviostorico.html

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