Antonello, il pittore che Messina non merita – Analisi e vicissitudini del Polittico di San Gregorio

Se dico XV secolo, quel che viene in mente a chiunque è la rinascita della cultura, l’umanesimo le scoperte artistiche e le ricerche scientifiche e filologiche che porteranno il rinascimento maturo del 1500. Un fiorire di novità, un fermento intellettuale dal quale emergeranno le tartarughe ninja (Donatello Michelangelo, Leonardo e Raffaello), l’iconico Botticelli, il geometrico Piero della Francesca e nel mucchio lui, Antonello da Messina. Arcinoto nel mondo per l’unicità della resa psicologica dei suoi ritratti e la sua compulsione ossessiva per i dettagli (si dice li dipingesse con pennelli da una sola setola) elementi che lo portarono a sperimentare la tecnica mista tempera e olio per riuscire a descrivere minuziosamente tutto, ma proprio tutto tutto, quel che voleva raffigurare!

Le sue opere hanno incantato committenti nei secoli, ipnotizzato turisti davanti a tavolette così piccole da doverci spiaccicare il naso, illuminato artisti con la sua perizia tecnica che univa il meglio della prospettiva italiana all’arte fiamminga. La sua influenza è tangibilissima nell’arte rinascimentale veneta e lombarda.

Bhe allora a Messina? Dato che ha trascorso molti dei sui 49 anni in riva allo Stretto, la sua bottega macinava un sacco di capolavori, aveva tanti lavoranti, sarà stato un trionfo, una ventata di freschezza, uno squarcio nel buio…

NO

Nel quindicesimo secolo Messina è sotto dominio aragonese, che spostò i centri di comando del regno a Napoli lasciando alla Sicilia ruolo di periferia. La città resta in mano di personaggi di alta borghesia o nobili focalizzati esclusivamente sull’ imprenditoria, personaggi molto attenti all’apparire, tanto da far debiti pur di sfoggiare nuovi abiti in ogni occasione mondana. Poi c’erano i forestieri, quelli che la città la abitavano solo in funzione del commercio del porto, e che creavano piccoli nuclei e si riunivano tra di loro senza interagire con gli indigeni,  se non per vender loro la merce che avevano importato, (veneziani, genovesi, pisani eccetera…). La classe media era degli artigiani. Setaioli, argentieri, marmorari e artisti che per quanto (soprattutto nelle prime due discipline elencate) fossero riconosciuti per la loro abilità venivano pagati poco e male dalla classe dirigente, così spocchiosa ed esterofila, che invece non badava a spese per l’importazione di dipinti dalle Fiandre. La cultura era poca e riservata a chi poteva permettersi un libro: per lo più i volumi censiti all’epoca in atti notarili sono di carattere pratico, come codici di diritto, manuali di medicina o scritti sacri. Di classico poco e niente.

IL POLITTICO DI SAN GREGORIO

Uno spaccato della Messina quattrocentesca emerge ancor di più dall’analisi dell’opera più grande di Antonello custodita al Museo Regionale di Messina Maria Accascina. Il Polittico di San Gregorio è firmato e datato 1473, risale quindi alla piena maturità artistica di Antonello da Messina, periodo in cui arcinota era la sua abilità nel riprodurre paesaggi e la sua fama precedeva le sue trasferte.

LA COMMESSA Nel contratto di commissione dell’opera la badessa del monastero di S. Maria extra moenia, Fabria Cirino, specifica di volere il polittico con fondo oro, che sia firmato e datato e che riporti il suo stemma di famiglia. Ed eccoci riprecipitati indietro di un secolo! Richiesta a dir poco frustrante per un innovatore raffinato. In più sono certificate nello stesso documento le condizioni di pagamento dell’opera: la paga sarebbe arrivata solo se l’opera fosse stata terminata entro il 1473, ma a rate però. Nel settembre di quel anno, il procuratore del convento Jaymus Riczu si impegnava a saldare il conto del polittico, consegnando l’equivalente di un onza d’oro in mosto (sei salme) che avrebbe ottenuto con la prossima vendemmia.

In più, al momento della consegna l’opera veniva sottoposta al giudizio di esperti che avrebbero controllato che l’esecuzione rispettasse composizione ed elementi richiesti, pena la rinuncia del compenso o peggio ancora il pagamento di una penale.

ANALISI DELL’OPERA Originariamente l’opera constava di sei tavole (la centrale superiore è andata perduta, poi vi dico come) di 170x 203 cm complessivi, dipinte a tecnica mista (tempera grassa e velature ad olio). Nello scomparto centrale (129×76 cm) la Madonna in trono, riccamente vestita, porge con la mano sinistra delle ciliegie al Bambino nudo seduto sulle sue ginocchia, indossa solo un rametto di corallo al collo e tiene nella destra un pomo; due angioletti sospendono sul capo della Vergine una corona di rose, mentre ai suoi piedi pende dal basamento del trono un rosario a 38 grani, più simile a quello islamico che a quello cristiano. Nei pannelli laterali campeggiano San Gregorio Magno benedicente a sinistra, col triregno papale in abiti pontificali, e San Benedetto abate di Montecassino, con abito benedettino, la mitra vescovile e un libro, a destra. Entrambi sostengono con la mano mancina il pastorale. La scelta dei santi era motivata dalla dedica della chiesa a cui era destinata l’opera (San Gregorio, uno dei padri della chiesa) e dal fondatore dell’ordine a cui la badessa apparteneva. Negli scomparti superiori superstiti un Annunciazione: l’Angelo Gabriele benedicente, di profilo, si rivolge a Maria, posta dietro un davanzale su cui poggiano dei libri e piccoli garofani. In basso ai piedi di San Gregorio lo stemma richiesto dalla badessa a losanghe. Accanto al rosario penzolante un cartiglio riporta firma e data:

Ano dm m° cccc° secuagesimo tercio

Antonellus messanesis me pinxit

QUANDO IL GIOCO SI FA DURO… Antonello da Messina da bravo perfezionista trovò comunque il modo di applicare i progressi della sua maestria anche ad un’opera con caratteristiche così vincolanti. Nonostante il fondo oro, le sue figure sono comunque tridimensionali ed occupano uno spazio realistico. I volumi sono dettati dalle ombre che cadono sul basamento del trono che continua fino al limite della cornice, e sul muretto basso alle loro spalle. Nel dialogo tra Gabiele e Maria del registro superiore invece sono i libri in bilico sul davanzale che annientano la bidimensionalità. A creare profondità il suppedaneo aggettante verso lo spettatore, da cui penzola nel vuoto la coroncina del rosario, e i piedi dei santi, la cui punta sporge appena un po’.

Un altro ostacolo da valicare per creare l’illusione di uno spazio omogeneo, era la divisione degli scomparti imposta dalla cornice. Antonello Da Messina decide di concepire l’opera come un corpus unico, con un unico punto di fuga, posizionato esattamente dietro capo della Vergine, decentrato rispetto il complesso. L’impaginazione prospettica esalta il gruppo della Madonna con Bambino, fulcro del significante del polittico, ricco di simboli della Passione, come il pomo, le ciliegie e il corallo.

Non si è risparmiato nelle sue minuscole pennellate, a descrivere ogni pelo della barba di San Benedetto, la trama dei preziosi damaschi, le gemme e ogni singolo riflesso degli ori e l’esattezza botanica delle rose della corona della Vergine.

UN POLITTICO CHE MESSINA NON MERITA Mentre già nel periodo di esecuzione delle opere venete, l’autore messinese era già celebre al nord, dove veniva spesso segnalato dai cronisti dell’epoca, a Messina bastarono meno di una sessantina d’anni dalla scomparsa di Antonello per dimenticare il pregio del suo operato. Il Polittico di San Gregorio subì gravi danni nel tempo, già a partire dal 1537, quando per volere di Carlo V per costruire la nuova cinta muraria, venne abbattuto il monastero, con l’opera dentro ovviamente. Fu in quell’occasione, probabilmente, che andò dispersa la cornice e il pannello centrale del registro superiore, forse era una pietà. I cinque pannelli recuperati rimasero divisi tra la chiesa e la sagrestia del nuovo monastero ricostruito ai piedi del colle della Caperrina. Questo fino ai primi anni del 1900, quando, con la legge eversiva, il plesso divenne Museo Civico e Gaetano La Corte Cailler, in qualità di curatore li ricompose. Dopo secoli è grazie a lui e ad un altro studioso Gioacchino Di Marzo, le sorti dell’avventura critica antonelliana si risollevarono anche nella sua città natale, con la ricerca di fonti documentarie e analisi storiche. Oltre al Giovanni Battista Cavalcaselle (1819-1897), a cui dobbiamo un’infinità di schizzi realizzati per studiare il maestro siciliano, finalmente anche qualcun altro smise di credere a Vasari ed agli asini che volano!

DI RESTAURI E ALTRI DANNI Alcune cronache ottocentesche informano del precario stato di conservazione delle tavole. Nel 1842, i tre dipinti inferiori furono sottoposti a maldestri restauri effettuati dal pittore Letterio Subba, che provocarono la scoloritura della veste rosa della Madonna adagiata sulla pedana, la pulitura del trono e l’innesto di una tavola di pino in quella con San Benedetto, presumibilmente in ciliegio. In seguito si provò a eliminare le aggiunte del Subba, ma durante la fase diagnostica si evinse che sotto quegli strati non era rimasto nulla dei pigmenti originali, forse, rimasti vittima del terremoto del 1783. Danni irreparabili subì nel terremoto del 28 dicembre del 1908, rimanendo per giorni sotto le macerie esposto alle intemperie. L’opera fu in parte restaurata tra il 1912-1914 da Luigi Cavenaghi a Milano che tracciò arbitrariamente il perimetro di alcune sezioni della figura di San Gregorio e ritoccando maldestramente le teste dei personaggi del registro superiore. Nel 1941 intervenne l’Istituto Centrale del Restauro rimuovendo le integrazioni del Cavenaghi e consolidandone il colore originale. Nel 1979 il dipinto con l’Angelo annunciante fu ripristinato da Ernesto Geraci, che terminò il restauro delle rimanenti parti tra il 1996-2006. Durante questo restauro venne individuata anche una impronta digitale sulla vernice, sarebbe bello poter pensare sia proprio quella di Antonello!

Il titolo di questo articolo di blog è volutamente al presente. Il tenore culturale medio di Messina, in questi anni più che mai, si sta abbassando sempre più: oggi come secoli fa, anche chi non può permetterselo, vuol apparire in abiti griffatissimi, e come unico onore al nostro illustre concittadino, il Comune non sa proporre altro che una misera esposizione di copie delle sue opere maggiori sparse nel mondo. Uno come Antonello da Messina, non ce lo meriteremo mai.

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4 pensieri su “Antonello, il pittore che Messina non merita – Analisi e vicissitudini del Polittico di San Gregorio

  1. Complimenti, Adriana, per questo articolo così attento ed esaustivo. Spero di visitare al più presto il Museo Regionale di Messina e spero che prima o poi la cultura, quella vera, quella che non ha bisogno di esibizionismi di sorta, si riveli in tutta la sua bellezza. Troppi acculturati ci stanno in giro😝

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