A due passi dalla fontana Pretoria, nota per le sue “vergogne”, l’Archivio storico comunale di Palermo si fa scenario di una mostra che parla di vuoti, di tempo e memoria.
La protagonista di questa personale è Janine Von Thϋngen, un nome che, ingiustamente, non fa sobbalzare sulla sedia come altri suoi colleghi contemporanei. L’artista tedesca matura nel fashion design, proseguendo per l’attività di costume teatrale, approdando in fine alla scultura, l’nstallazione e la fotografia. Ha vissuto la sua ricerca in grandi città sparse per tutto il globo (New York, Parigi e Mosca) scegliendo come città da abitare Roma.
Il titolo della sua perosnale prelude all’atmosfera che ha deciso di ricreare: “Trasparenze – Il pensiero si fa verbo”. Si tratta di una mostra di opere site specific, interconnesse con la location e tra loro, quindi difficilmente scindibili per i loro significati e suggestioni.

Il solo Archivio dispone di locali di notevole pregio: una volta parte del Convento di San Nicola da Tolentino, restaurati nel 2002. E’ la splendida Sala Almeyda (che porta il nome dell’architetto che la progettò nel 1880), con quattro enormi pilastri alti oltre 15 metri a sostegno del soffitto ligneo a larghi riquadri, ad accogliere il visitatore con le prime opere di Janine; sulla destra sul pavimento è appoggiata una Sicilia a specchio color acciaio speculare ad un’altra tracciata con il gesso sul pavimento a cui sono state sovrapposte lungo le coste pile di carta che ne indicano i fari. Nella realtà ogni faro è unico, nel suo tempo di lampeggio, nel suo colore, qui anche con anonima carta, viene comunque reso riconoscibile con diverse altezze e con la specifica del suo nome scritto a mano sulla cima della torre. Un’isola bidimensionale ed una sviluppata in altezza sembrano così antitetiche finchè non ci si trova nel riflesso della prima, e sei tu stesso a diventare faro.

Segni verticali e ribaltamenti concettuali si collega a Futuro Presente Passato rinforzando la volontà del coinvolgimento dello spettatore: due pile di pregiato cartoncino quadrato e dei pennarelli invitano a colmare il vuoto. Sul leggio di legno scuro, una nota illustra quanto il futuro ed il passato siano passivi e solo il presente sia interattivo, il primo è imperscrutabile ed impalpabile, il secondo è composto dalle orme di azioni già compiute, l’unica dimensione temporale in cui si può agire è il presente. Si invita dunque ognuno ad indagare la propria idea di vuoto, le sensazioni che ci provoca, la valenza che gli viene conferita, il valore della sua esistenza. Scrivi e dal mucchio di fogli bianchi le tue parole vengono trasferite in quello del passato, insieme alle altre testimonianze, che in futuro, anticipa l’artista, verranno pubblicate sul web.

Avvitandosi su se stessa un’elica grezza scende dall’alto soffitto per appoggiarsi su di un piano riflettente lasciando trasparire i suoi naturali spessori alla luce naturale. Questa è la memoria, fatta di carta, custode dei documenti che attestano le nostre origini, e che prende la forma del DNA, caratteristica identitaria per eccellenza. Attraverso materiali che ricordano l’arte povera di Pistoletto e Merz, ogni istallazione trasmette un altissimo valore concettuale.

Alla sala successiva si accede per uno stretto e lungo varco incastonato tra gli scaffali, Memorie connesse la abita in ogni centimetro cubo, nel senso dell’ampiezza e dell’altezza. Immaginate l’intero perimetro siciliano tradotto in fibra tessile, 1152km di filo, in parte ancora avvolto nei suoi rocchetti ed il resto intrecciato tra le mensole custodi di antiche documentazioni ed il tavolo da lettura in cui, potersi ancora riflettere e trovarsi coinvolti da questo ordinato intreccio. Si gioca con memoria e radici, scegliendo un materiale, il filo il cui nome in greco antico evoca il verbo dell’amare e l’azione dell’unire. Materiale non infallibile ma che racchiude, unisce e lega. A colmare lo spazio non occupato dalla rete di filati, delle voci registrate raccontano, come in un intervista, la soggettiva definizione di vuoto di chi la Sicilia la abita e di chi ne è venuto a contatto. Attraverso il suono si occupa così anche lo spazio che i legami variopinti non hanno colmato. E così, la memoria, colma il vuoto.

In fine la stessa Janine definisce il grande protagonista della mostra: IL VUOTO NON E’ NIENTE, anche ciò che noi non percepiamo è presente, particelle, ultrasuoni e tutto ciò che non ci è permesso vedere ad occhio nudo esiste ed occupa ciò che noi percepiamo come mancanza.

La mostra è visitabile fino a Sabato 30 novembre 2019 negli orari di apertura del Archivio storico Comunale di Palermo
Se questo articolo vi è piaciuto talmente tanto da arrivare a leggere queste ultime righe, lasciatemi un commento nel caso vi interessi un approfondimento. Vi ricordo inoltre che potrete seguirmi su instagram e facebook e se mi riterrete meritevole del vostro sostegno, potrete offrirmi un cappuccino su Ko-fi . A presto!